Era l’Italia che sapeva sognare, l’Italia ancora immersa negli anni Sessanta, quelli del boom e della speranza, quelli del cambiamento e della riscossa dei ceti sociali più deboli. Era l’Italia del Sessantotto, reduce dai governi di centro-sinistra che tanti progressi avevano fatto compiere alla società e prima della tragedia di piazza Fontana che avrebbe sconvolto per sempre le nostre esistenze. Non si pensava al male, in quell’estate di cinquantatre anni fa, quando tutto sembrava possibile e la RAI dava fondo alle proprie energie per seguire uno degli eventi più importanti del secolo. Ventotto ore di diretta, una redazione interamente mobilitata, lo scambio di battute fra Tito Stagno e Ruggero Orlando collegato da Houston, quel memorabile siparietto sul fatto che il LEM avesse toccato o meno, l’applauso dello studio, la gioia collettiva, tutti svegli e con lo sguardo rivolto verso il cielo. Era il 20 luglio 1969, sembra passato un secolo. Ebbene, oggi il cantore di quell’impresa si è spento all’età di novantadue anni, dopo aver ricoperto ogni incarico, compreso quello di commentatore sportivo, dopo aver seguito papi e presidenti della Repubblica, dopo aver incarnato, come meglio non avrebbe potuto, il servizio pubblico, la sua natura e il suo spirito.
Tito Stagno, cagliaritano, volto particolare e riconoscibile nella folla, era innanzitutto un formidabile mattatore, capace di tenere desta l’attenzione del pubblico anche dopo molte ore e di non smarrire mai il buonumore, animato da un profondo gusto per la battuta e per l’aneddoto. Folgorante nei suoi racconti, sempre in grado di rubare la scena anche se non si poneva mai davanti alla notizia, uomo d’altri tempi eppure modernissimo, omerico nella sua abilità di raccontare le varie vicende ma sempre rimanendo un passo indietro, come predicava la vecchia scuola secondo cui il nostro compito è spiegare e far comprendere, non esaltare noi stessi e il nostro ego, solitamente smisurato. E Tito in questo era un maestro ineguagliabile. Aveva dalla sua una cultura fuori dal comune, una bravura dialettica senza eguali, un’esperienza che molti gli invidiavano e tuttora gli invidiano e poi il guizzo, lo slancio, la furbizia, il tocco di classe che fa la differenza in un momento di stanca, riuscendo per questo a entrare in sintonia con gli spettatori e a creare quell’empatia che rese la diretta lunare un momento magico e destinato a rimanere scolpito per sempre nella memoria collettiva.
Tito Stagno appartiene al nostro immaginario, un po’ come Zoff che alza la Coppa del mondo a Madrid, un po’ come Lippi in quel di Berlino, esempio di professionalità e grande icona pop, perfetto connubio di grande giornalismo e intrattenimento di un garbo e di una finezza inarrivabili. Quella diretta lunare fu antesignana di altre innovazioni, con il racconto corale dell’attesa, il collegamento in diretta del presidente Saragat e molte caratteristiche che oggi ci sembrano scontate ma all’epoca non esistevano. Le introdusse lui, con quello sguardo profondo, quella tecnica narrativa tutta sua, quei duetti memorabili e quella naturale propensione a entrare in punta di piedi nelle case degli italiani, fino a prenderli per mano e a condurli idealmente lassù, in quel luogo che dopo quella notte ci appare più vicino e più familiare, come se sulla Luna ci avessimo passeggiato anche noi per un istante.
Tito Stagno seppe accendere la fantasia di milioni di persone e donò alla RAI il privilegio di essere un punto di riferimento per l’intera comunità, cosa che oggi spesso non riesce più a essere.
Poliedrico, salutista, innamorato della vita e ricco di intuizioni geniali, ci lascia un’eredità straordinaria e un auspicio: che quella Luna possa continuare a vivere dentro di noi, anche se oggi è così difficile trovare il coraggio di alzare gli occhi al cielo.
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