Avremmo più che mai bisogno del grande Lucio Dalla, che se fosse ancora fra noi il prossimo 4 marzo compirebbe settantanove anni. Invece, dieci anni fa, ci ha detto addio: troppo presto, troppo giovane e, soprattutto, lasciando dentro di noi il vuoto per un pensiero limpido, leggero ma per nulla fatuo e convintamente pacifista che oggi ci servirebbe come l’aria. Perché Lucio, questo eterno ragazzo innamorato del mare, della poesia e dell’infinito, sempre dalla parte degli ultimi e dei deboli, dei barboni di piazza Maggiore, per tutti ormai Piazza Grande, e degli sconfitti in generale, Lucio era parte della nostra storia e della nostra anima. E ora che siamo sull’orlo dell’abisso, la sua poesia in musica, la sua dolcezza infinita e il suo amore per il prossimo ci ricordano quanto avremmo bisogno, ogni giorno, di pace e di bellezza, di umanità, di gentilezza e di quella follia positiva che è alla base del nostro stare insieme.
È incredibile che non sia più fra noi. Già dieci anni, e avvertiamo l’assenza di un artista che ci faceva sentire meglio, in quanto non ci poneva costantemente di fronte ai nostri sbagli, alla nostra mediocrità e al nostro istinto di sopraffazione nei confronti degli altri ma alla nostra fragilità, al nostro essere mortali e al nostro disperato bisogno d’amore. Ecco, questa è stata la cifra musicale di Dalla: una serenata lunga decenni, una canzone unica in cui il protagonista era sempre l’essere umano nella sua complessità, nel suo fascino e nella sua aspirazione alla libertà, all’assurdo, alla rottura degli schemi, al superamento di antichi steccati e costumi ormai superati.
Lucio Dalla ha rappresentato, per tutta la vita, una forma pacifica di ribellione e una risposta alle nostre innumerevoli domande, lui che di risposte non ha mai voluto fornirne ma riusciva comunque a regalarci una speranza, se non altro quell’effimera felicità di cui tutte e tutti, in ogni fase dell’esistenza, avvertiamo la necessità.
Dieci anni, e comprendiamo solo ora quanto ci manchi la meraviglia umana di un illuso che, a differenza della moltitudine arresa che vediamo davanti ai nostri occhi, sapeva ancora sognare.
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