L’Associazione per il rinnovamento della sinistra partecipa alle manifestazioni per la pace di questi giorni. Ci auguriamo che presto si riesca a costruire una grande e partecipata iniziativa nazionale. Quali che possano essere i motivi invocati dal governo russo, l’aggressione armata della Russia contro l’Ucraina costituisce una palese violazione del diritto internazionale e apre la strada ad un’escalation bellica dagli esiti potenzialmente catastrofici. Il dottor Stranamore non è solo un film e gli incubi del Novecento hanno repliche inquietanti nel nuovo Millennio.
Ci uniamo alle grida di pace che stanno venendo da diverse parti della società civile in Italia, in Ucraina e nella stessa Russia. Ci sembra particolarmente importante, poi, la forte invocazione del Papa di Roma Bergoglio.
La storia del Novecento ci ammonisce, però, sulla necessità di mettere in relazione ciò che accade ora alla fine dell’equilibrio del vecchio mondo bipolare interrotto dalla crisi dei paesi del socialismo di stato dell’ex blocco sovietico. Cadde il muro di Berlino e fu il sintomo della fine di un’epoca gravida di problemi e di tragedie. Il modello capitalistico si impose, pure in un mosaico di sistemi statali.
I vincitori della guerra fredda , a partire dagli Stati Uniti, anziché puntare ad una condivisione nella visione degli assetti del mondo, scelsero la via di una direzione unipolare, senza che l’Europa riuscisse ad assumere un ruolo autonomo e significativo.
La disgregazione del Patto di Varsavia ha portato paesi come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e i paesi baltici ad entrare in modo subalterno nella Nato, portandovi di sovente un surplus di nazionalismo sovranista e di affidamento cieco alla dittatura del mercato.
Era prevedibile la rinascita nel nazionalismo russo, ulteriormente esaltato dal golpe attraverso il quale il governo dell’Ucraina rovesciava la sua politica di alleanze internazionali. Due dei maggiori dirigenti della socialdemocrazia europea come il tedesco Schmidt e l’ex primo ministro francese Rocard bollarono non a caso come assurda e pericolosa la volontà di portare l’Ucraina nel blocco occidentale.
La pur modesta ripresa della potenza russa segnata dal dispotismo di Putin e degli oligarchi milionari che lo circondano vedeva l’inizio di un nuovo scontro con la volontà egemonica americana nel suo ritorno al consolidamento dell’atlantismo, dopo la sconfitta degli impulsi autoritari del trumpismo simpatizzante con la macchina autocratica russa.
Quanto avviene oggi è l’effetto drammatico e perverso di un filo nero che congiunge sequenze e periodi diversi. Non ci sono buoni e cattivi: tutte le potenze sono fautrici di guerra. Si ricordino l’aggressione all’Iraq, la guerra alla Serbia per strapparle il Kossovo e farne una base americana, la vicenda decennale dell’Afghanistan, i casi della Libia e della Siria. Nel frattempo, divisioni sociali e povertà sono aumentate vorticosamente. Le guerre, magari parziali e spesso dimenticate, sono il volto cinico ed aggressivo di un capitalismo segnato dalle tecniche sofisticate e dalla sorveglianza di massa.
Tecnocrazie e populismi sono facce della stessa medaglia. Il ricorso alla violenza e alla guerra sembra ormai fisiologico, nell’aggiornata sintassi dei poteri.
Non possiamo, però, rassegnarci. La lotta per la pace non è una scelta solamente umanitaria. Si tratta di un atto carico di soggettività, indispensabile per immaginare un’alternativa. Per l’ARS si tratta di riprendere un cammino mai abbandonato e da rilanciare con modalità e linguaggi rinnovati. Per dare un senso alla parola, altrimenti vuota, democrazia.