Che ci fa un’associazione sulla libertà di informazione dentro un fabbrica, alla Gkn? Oppure tra i lavoratori della Grafica Veneta? Articolo 21 continua ad occuparsi di lavoro, quando non c’è e quando fa male, da morire.
Imbottiti di numeri sulla pandemia e invasi dai dibattiti sulla giustizia ci si sta perdendo qualcosa, quel qualcosa ha un nome, “lavoro”. Non fa rumore come i 2,3 miliardi di euro di ecobonus già riconosciuti che (quasi certamente) sono truffe. Il lavoro che si sta perdendo è, invece, un brusio di sottofondo, info generiche buttate qui e lì. In realtà esiste una pandemia oltre la pandemia sanitaria, un’emergenza chiamata occupazione e un allarme derivante dalle delocalizzazioni che non verranno bloccate da interventi leggeri. Il numero delle crisi industriali con un tavolo aperto al Ministero dello Sviluppo Economico messo in fila dalla Cgil è impressionante ed è parziale perché manca il segmento non industriale. Sono decine di migliaia i lavoratori coinvolti nei tantissimi stati di crisi di aziende che hanno deciso di chiudere battenti o di delocalizzare la produzione fuori dai confini italiani o di ricorrere alla cassa integrazione o di riconvertire in altre produzioni. Fra i settori più colpiti quelli della moda e del calzaturiero, della siderurgia (soprattutto ex Ilva e Piombino). Poi ci sono il settore della produzione di elettrodomestici e l’atomotive, inlcuso il rallentamento della produzione per gli aeromobili.
“Per poter dare risposte concrete a queste migliaia di lavoratori e lavoratrici – sottolinea la Cgil nel suo rapporto – è necessario che il Paese si doti di un progetto industriale complessivo dove si individuino anche gli strumenti per salvaguardare il nostro sistema industriale e contemporaneamente si intervenga su innovazione e ricerca per posizionare il nostro sistema industriale in un ruolo di traino e guida europea. Noi chiediamo che l’immissione di capitali pubblici abbia un segno, che vadano cioè in direzione delle scelte industriali oggi necessarie per garantire la giusta transizione energetica, digitale ed ambientale, sapendo che solo così si salvaguarda la capacità industriale già esistente nel paese”. I casi più eclatanti sono quelli di Tim, Whirlpool, Embraco, Acciaerie d’Italia, Porto di Venezia, Porto Industriale di Cagliari spa, Leonardo (impianti di Pomigliano, Nola, Foggia, Grottaglie, dunque tutti al Sud), la catena Carreofour in nove regioni, Cartepillar, Jabil, Blutec in A.S., Saga Coffe. Il destino dei lavoratori diretti e di quelli dell’indotto è legato a quanto succede nei tavoli di crisi del Ministero e ciò che accade lì è direttamente proporzionale all’attenzione che suscita una crisi aziendale oggi, assai scarsa.