Parte la gara promossa dal governo per la realizzazione del cosiddetto Polo strategico nazionale, come previsto dal noto Piano (Pnrr). Si tratta dell’infrastruttura che conterrà in modalità cloud i dati sensibili delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, nonché delle aziende sanitarie.
Un primo interrogativo riguarda proprio la natura dei dati implicati: anagrafe? Fascicolo sanitario? Passaporti? Giustizia? Giusto per capire, visto che ci addentriamo nella sfera di maggior delicatezza della vita delle persone. La linea di confine con gli stati autoritari passa proprio sul crinale della sorveglianza e del controllo. Attenzione, perché l’età luccicante delle tecniche digitali contiene insidie e inganni, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Insomma, caro ministro Colao, dica qualcosa, vista l’aria che tira nell’età della sorveglianza, segno distintivo dell’attuale stagione del capitalismo delle piattaforme. Il tema è di prima grandezza e sarebbe importante dedicare una seduta del parlamento italiano ad una materia che è politica all n potenza.
La novità è la recente pubblicazione del bando, che fa seguito ad una pre-selezione (vinta dalla cordata composta da Tim, Cassa depositi e prestiti, Leonardo e Sogei, la società di informatica del ministero dell’economia) tesa a fissare la base d’asta. Le proposte concorrenti erano Fastweb-Engineering e Almaviva-Aruba. Ora si vedrà chi arriva primo al traguardo.
Una bizzarria, però, è la scelta indicata di chiedere agli aggiudicatari di mettere 723 milioni di euro (e fin qui) per costruire il Polo – vendendo i servizi alle strutture interessate- per tredici anni. Simile ciclo fa impallidire gli storici, visto che nelle tecniche odierne e soprattutto imminenti in cinque anni si consumano ben tre raddoppi evolutivi. Dunque, un tempo pressoché infinito.
La migrazione dovrà concludersi nel 2025, secondo le indicazioni del Pnrr di vedere il 75% della PA nel cloud. Vedremo che accadrà realmente, ivi compreso il problema della coesistenza con le strutture omologhe esistenti: Inps, Istat, Inail.
Il problema cruciale, però, va al di là. Un aspetto saliente del progetto di Tim, ad esempio, si fonda sulla collaborazione con Google. Ed è credibile immaginare che pure le altre ipotesi in campo si affidino agli Over The Top (da Amazon, a Microsoft, a Oracle), consegnando così la presunta sovranità digitale agli oligarchi della rete, che rispondono alla normativa assai blanda degli Stati uniti. Il Cloud Act dell’anno passato non ha la forza del Regolamento sui dati personali varato dall’unione europea già nel 2016. Anzi, ne è la negazione.
Per capirci, si sta per affidare corpi e anime a chi non fa mistero di usare i profili individuali per finalità commerciali. O molto peggio, se si rammenta il caso di Cambridge Analytica.
Si è costretti a delegare il controllo all’amico americano. E, se ci si ripensasse, bisognerebbe ricominciare daccapo. E neppure è agevole passare da un cloud all’altro.
Per non dimenticare, fu Edward Snowden nel 2013 a rivelare che le agenzie di intelligence statunitensi hanno facile accesso ai dati personali. Secondo una legge denominata FISA 702 del 2008 tale possibilità è stata molto ampliata. Ecco il contesto.
Si regala, quindi, sul solito piatto d’argento un tesoro prezioso, essenziale per nominare parole come libertà e indipendenza.
Naturalmente, al di là dei discorsi rituali, ad essere penalizzate sono pure le aziende italiane, cui non resterà pressoché nulla e che dovranno persino finanziare società statunitensi potenti e invasive per le licenze d’uso.
Parlare ora dell’arma del Golden Power o di ricorso allo strumento della crittografia sembra una fragile difesa.
Su tutto questo ha preso una chiara posizione l’associazione dei provider indipendenti, che rappresenta esperienze critiche e diverse dal pensiero prevalente.
Prima che si espleti la procedura pubblica è indispensabile un ripensamento. Dopo anni di invasione dell’immaginario ad opera della televisione commerciale, ora potrebbe avvicinarsi la sconfitta finale delle soggettività coscienti e consapevoli. Lassù Dio sembra morto.