Branagh: eclettico e melanconico

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“Assassinio sul Nilo”. Regia  di Kenneth Branagh.  Con Kenneth Branagh, Annette Bening, Armie Hammer, Gal Gadot, Letitia Wright. Prod. Usa 2021

Quanti e quali Hercule Poirot (che con Miss Marple compone il cosiddetto “universo” di Agatha Christie), andando a ritroso, ricordiamo in trasposizione filmica? Tutti di affrontati da attori sapidi e “consumati” senza alcun attardarsi in quel quel vago macchiettismo ad orologeria che il personaggio, riduttivamente, comporterebbe.  Se, dovendo scegliere il nostro favorito resta il meticoloso e un po’ grifagno Albert Finney di “Assassinio sull’Orient Express”, non memo divertenti (nell’etimologia di “trasportarti altrove”) emergono il Poirot di Peter Ustinov, sardonico ed ex edonista adagiatosi ai piaceri della tavola, e il televisivo David Suchet, zelante, formalista, suscettibile in una serie televisiva che procede da circa dieci anni.

Spiazzante, non previsto giunge quindi uno dei maggiori eredi di Lawrence Olivier (e del teatro elisabettiano): che è l’eclettico e  bulimico (di immagini) Kenneth Branagh, il  più famoso nordirlandese in attività sceniche, abilissimo nel passare con disinvoltura dal cinema d’autore (è in arrivo un suo “Belfast”, bloccato dalla pandemia) a quello di “intrattenimento” e alto budget produttivo.

Come infatti sa essere questo suo “Assassinio sul Nilo” comunque velato da una sorta di calmo dolore, di mestizia esistenziale, alle quali da senso il prologo – avvincente e spettacolare- delle sequenze, iper realiste, ambientate durante il primo conflitto mondiale, al quale Poitot si immagina avere partecipato con onore e imperituro innamoramento di una defunta crocerossina  .

Intrigato nella narrazione ed ineccepibile nella sua location egiziana, “Assassinio sul Nilo” (già portato al cinema nel 1978, diretto da John Guillermin e interpretato da un cast di star ad alta parcella (oltre a Unistinov, Bette Davis, David Niven, Maggie Smith, Mia Farrow), “Assassinio sul Nilo” gode si dispiega in una sorta di narrazione intensa ma –azzarderei- crepuscolare. Cui si perdonano alcune macchinosità o scarsa verosimiglianza (“cronometrica”) del plot narrativo che non è solo sfoggio di costumi, scenografie, fotografia spesso in penombra. Ma coscienza di quella dicotomia che spesso ‘inchioda’ la detection di Poirot: la potenza dell’intuito e l’impotenza di ‘evitare’ che il misfatto si compia.

Noto, anzi arcinoto, agli estimatori della scrittrice, “Assassinio sul Nilo” (ambientato fra un lussuoso panfilo fluviale ed escursioni pericolose nella Valle dei Re) ha il solo ‘torto’ di basarsi su una vicenda d’amore e di morte conosciuta a menadito. Dalla quale affiorano i temi e le passioni sconvolgenti che Agatha Christie sa contrapporre al raziocinio pedante, alla ‘materia grigia’ (sempre in ebollizione) dell’investigatore belga.

Cui Branagh imprime, con forte registro naturalista, una personale brama di affermazione, coazione a ripetere, necessità di dimostrare a se stesso la qualità dei “talenti” posseduti. Specie quello umanitario. Facendo ammenda delle spericolatezze, degli equilibrismi fuori luogo e antitetiche all’estetica del film che avevano pregiudicato quell’”Assassinio sull’Orient Expres” che fu il suo primo approccio all’opera della Christie.


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