Una morsa che non allenta. Che ha ripreso vigore e che ha il chiaro obiettivo di ridurre al silenzio la stampa critica, libera, in Turchia. Con l’arresto di Sadaf Kabas, giornalista del quotidiano Cumhuryet, con l’accusa di aver “insultato” il presidente della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il regime turco ha dato il via a nuove repressioni nei confronti degli operatori dell’informazione. La Kabas è finita nel mirino delle autorità per alcune sue dichiarazioni rilasciate durante un programma televisivo e sul suo profilo Tiwtter. “C’e’ un proverbio molto famoso che dice che una testa coronata diventa più saggia. Ma vediamo che non è vero. Un toro non diventa re solo entrando nel palazzo, ma il palazzo diventa un fienile”, ha detto la giornalista nata a Londra nel 1970, collaboratrice di Cnn International ad Atlanta e, che nel 1998, ha ricevuto il premio per la migliore notizia di economia. È stata creatrice e conduttrice di programmi tv per Ntv, Atv, Tv8, SkyTurk e Trt2. Nel 2007 ha fondato la Sedef Kabas Communication & Consultancy, che offre, tra le altre cose, consulenza e corsi di formazione a imprenditori e politici.
La giornalista è stata portata in carcere sulla base dell’articolo 299 del codice penale turco. Insultare il presidente è un reato e comporta una pena massima di quattro anni di reclusione. I pubblici ministeri turchi hanno aperto le indagini su 128.872 cittadini tra il 2014 e il 2019 per aver “insultato” Erdogan, mentre nel medesimo periodo 27.717 azioni legali sono state intentate con la stessa accusa.
Sono centinaia i processi a carico di giornalisti in Turchia, uno o più al giorno sono chiamati davanti ai tribunali per rispondere di accuse che vanno dalla propaganda del terrorismo alla diffusione di notizie false.
Tra i vari processi in corso, proprio oggi riprende quello a carico di Ramazan Akoğul, redattore dell’genzia di stampa Dicle, con l’accusa di appartenenza a un’organizzazione terroristica.
E ancora, domani sul banco degli imputati siederà Caner Taşpınar, caporedattore di Oda TV accusato di “offese e diffamazione”. Il 26 al tribunale di Diyarbakir, toccherà all’editore del quotidiano filo-curdo “Hatice Sahin”, Yeni Yaşam, che rischia una condanna: da 15 a 7 anni 6 mesi di carcere per “appartenenza a un’organizzazione terroristica armata” mentre in contemporanea ad Ankara, la giornalista Derya Okatan dell’agenzia ETHA dovrà rispondere di “diffusione di propaganda terroristica.
Il giorno dopo, il 27 gennaio, a Istanbul, torneranno in aula Hayko Bağdat, in tre diversi procedimenti, l’ editorialista del sito di notizie Özgürüz, con l’imputazione di “diffusione consecutiva di propaganda terroristica”, Buse Söğütlü, redattore di Gazete Yolculuk, accusato di prendere di mira un funzionario pubblico che aveva partecipato a operazioni antiterrorismo per un tweet in cui criticava l’atteggiamento professionale di agenti violenti, e Velat Öztekin, collaboratore di Azadiya Welat, per insulti al presidente.
E il calendario potrebbe continuare all’infinito… Le violazioni nei confronti della stampa in Turchia, che sono esponenzialmente aumentate dopo il golpe fallito del 2016, hanno fatto “guadagnare” al Paese il 153simo posto su 180 Paesi nella classifica del 2021 di Reporters sans frontières sulla libertà di informazione.