Sommario: 1 Premessa; 2. Cenno ai ddl presentati; 3. Alcune proposte; 4. La forma giuridica della Rai; 4. a) (segue) Il capitale sociale della Rai attribuito ad una Fondazione. Introduzione di una quota di azionariato popolare; 4. b) La fonte di nomina del Consiglio della Fondazione. 4. c) I Requisiti. Il Procedimento di nomina. Le Audizioni. La durata; 5. Il finanziamento della Rai; 6.Conclusioni.
- Premessa. La Rai è stata oggetto di diverse riforme, a partire dalla “riforma base” del 1975. Dopo quella, ce ne sono state almeno altre cinque. Nel 1990 c’è stata la legge Mammì; nel 1993 abbiamo avuto la legge n.106 che ha dettato un nuovo modello di governance; nel 1997, la legge Maccanico ha disciplinato la nuova Autorità delle comunicazione, ma ha dettato anche alcune norme di sistema; nel 2004 abbiamo avuto la “legge Gasparri” in gran parte trasfusa nel TU del 2005 e nel 2015, la legge Renzi, ha apportato alcune correzioni, ancora sul tema della governance e sulla nuova figura dell’Amministratore delegato.
Una sorta di filo conduttore ha accompagnato quasi tutte quelle riforme ed ancora oggi si sente ribadire spesso l’intenzione di ridurre l’influenza della politica nella scelta dei vertici della Rai (uno tra gli slogan più ricorrenti è proprio quello di “mettere i partiti fuori della Rai”).
E’ bene dire con chiarezza che quest’obiettivo non si è mai realizzato compiutamente. Infatti è molto difficile azzerare del tutto l’influenza dei partiti e del Governo nelle scelte essenziali proprie di un’azienda a forte, anzi, a quasi totale, partecipazione pubblica.
A guardar bene quest’obiettivo non si è realizzato integralmente in nessuno dei principali servizi pubblici europei. Potrebbe realizzarsi forse in un sistema privatizzato, ma la nostra esperienza radiotelevisiva almeno, è stata nel senso che la privatizzazione ha finito per consegnare il sistema privato al controllo di una sola forza
politica e ad assumere comunque una fisionomia assolutamente monopolista. E questo non è certamente uno scenario auspicabile.
Altra premessa di metodo riguarda l’influenza sugli argomenti alla vostra attenzione della normativa sovranazionale. Nelle settimane scorse avete dato un parere sullo schema di decreto legislativo attuativo della Direttiva SMAV 2018. Proprio in questi giorni siamo in attesa del decreto legislativo che dovrebbe incidere sensibilmente sui contenuti del TU n.177 del 2005 (pubblicato nella GU n.293 del 10 dicembre 2021 D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 208).
Questa Commissione non potrà non tenere conto del fatto che alcune delle disposizioni attualmente vigenti subiranno una modifica importante. E’ facile, in proposito, scorgere aspetti di parziale sovrapposizione con alcuni dei ddl alla vostra attenzione (si veda in particolare il ddl Baracchini). Le conseguenze che l’attuazione della Direttiva potrebbe avere sul finanziamento del Servizio pubblico, finirebbe inevitabilmente con l’estendere la vostra attenzione anche ai profili del finanziamento della Rai per la quale si parla di una perdita molto rilevante (tra i 50 e i 100 milioni) in conseguenza delle nuove norme.
- Cenno ai ddl presentati. Al momento attuale, come a voi tutti è ben chiaro, sono stati presentati alla Commissione ben otto ddl legge che toccano argomenti diversi. Non c’è ancora un testo unificato che sarà formato al termine delle audizioni. Non avrebbe senso riassumerne il contenuto se non fosse altro che per sottolineare i principali contenuti comuni.
Il ddl 1415, a firma Di Nicola ed altri (M5S), prende le mosse dall’Agcom (ed è il solo che si muove in questa direzione) prevedendo un nuovo metodo di nomina dell’Autorità. Si sofferma sulla presentazione della candidature, sul procedimento di scelta ed introduce la novità del sorteggio degli eletti; Per la Rai si ritorna alla concessione ex lege, con un Cda leggero, composto da 5 membri; il Presidente è indicato dal MEF e l’ AD è nominato dal Consiglio; il ddl n. 2011, Fedeli e altri (PD) ripropone un testo originariamente presentato dal Ministro Gentiloni. L’idea è quella di trasformare la Rai in una Fondazione con tutte le conseguenze di un sistema duale. Il Consiglio della Fondazione è modellato con caratteri di maggiore rappresentatività sociale. Il Cda Rai è scelto dalla Fondazione con un connotato più tecnico; il ddl. n.2210, Gasparri e altri (Forza Italia) ha un obiettivo più contenuto. Esso mira sostanzialmente a riproporre la nomina del DG al posto dell’AD;il ddl n. 2223, Faraone ed altri (Italia Viva) si colloca su una posizione assai vicina al ddl Fedeli. Anche in questo caso si prevede una Fondazione che controlla la Rai. Le azioni vengono trasferite alla Fondazione. La
Concessione viene data alla Fondazione e, secondo il modello inglese, si sostituisce il Contratto di servizio, con la Carta di servizio. Il Cda RAI è composto solo da 3 membri. Il ddl n.2225, Baracchini (Presidente della CPIV), si concentra soprattutto sulla pubblicità e sui relativi tetti. Si pone attenzione anche al tema dei Contratti pubblicitari. Si prevedono relazioni verso la CPIV su canone e pubblicità. Il ddl n 2232, De Petris ed altri (Leu, Art 1), sviluppa sempre il tema della Governance, ma questa volta il sistema duale si svolge, secondo il modello tedesco, all’interno di un’unica società. E’ previsto un Consiglio di sorveglianza di 15 membri (eletti dai Presidenti delle Camere, dal Parlamento, dall’ Assemblea dei dipendenti, dalla Siae, dai Rettori) che dura in carica 6 esercizi ed un Consiglio di gestione (tre membri, il Presidente e l’AD). Si deve segnalare che in questo ddl è contenuto un articolo (13–novies) che così dispone “La dismissione della partecipazione dello Stato nella RAI – Radiotelevisione italiana Spa resta disciplinata dall’articolo 21 della legge 3 maggio 2004, n. 112 ». Ho citato questo passaggio perché mi servirà in seguito. Il ddl 2234, Mallegni ed altri (Forza Italia) si occupa di un tema simile a quello del ddl Baracchini. Disciplina in particolare i nuovi tetti alla pubblicità; Il ddl n. 2263, Romeo ed altri (Lega) mira a definire e ad identificare i programmi di servizio pubblico e di pubblico interesse. Ipotizza, come si era pensato anche in passato, un canale della Rai senza pubblicità. Propone di identificare con un particolare marchio i programmi finanziati da canone. Dedica disposizioni particolari alla disciplina delle produzioni locali. In tema di governance si mira a rafforzare il sistema attuale. Si prevede un tetto ai programmi dati in appalto.
In sintesi si può dire che la maggior parte dei ddl (cinque su otto) intervengono sul tema della Governance della RAI proponendo modelli diversi, ma con prevalente attenzione ai temi organizzativi.
Tre di questi cinque ddl mirano ad introdurre un sistema duale di governo o nella forma della Fondazione (Fedeli, Faraone) con qualche riferimento nel sistema inglese, prima dell’ultima riforma e con una società che a sua volta controlla, un’altra società. Il ddl De Petris come abbiamo ricordato propone il sistema duale (nella forma dei due organi di sorveglianza e di gestione) all’interno della stessa società ed in questo si sente un’assonanza con il sistema tedesco. In tutte queste proposte si cerca di allargare la composizione sociale presente nell’organo di garanzia, introducendo altri soggetti oltre a quelli indicati dai partiti, attraverso il Parlamento (Regioni, Università, Accademia Lincei, Sindacati, Associazioni utenti o consumatori).La Spagna e la Germania offrono esempi significativi in tal senso.
Il ddl Di Nicola sembra voler affrontare il sistema a monte partendo dall’Agcom, attraverso un sistema originale di selezione delle candidature (sorteggio). Si mira anche a rendere più trasparente la fase di presentazione delle candidature: presentazione candidature online, accompagnata da meccanismi di hearings (Francia). Si cerca in definitiva di attribuire la responsabilità della scelta ad alcune istituzioni di garanzia (Presidenti delle Camere o Agcom).
Il ddl della Lega ha un contenuto più ampio ed affronta quasi una riscrittura del TU, introducendo, accanto alla contabilità separata, un vero sistema organizzativo differenziato tra una parte sostenuta dal canone ed un’altra dalla pubblicità.
Il ddl Gasparri propone di ritornare al modello con il solo Direttore generale, probabilmente nell’intento di ridurre il peso molto forte dell’AD e di ridare centralità al Cda.
Infine due ddl (Baracchini e Mallegni) pongono al centro della loro riflessione il tema della pubblicità ed anticipano alcuni dei contenuti della Direttiva SMAV e di una maggiore trasparenza dei contratti pubblicitari della Rai.
3 Alcune proposte. Vorrei a questo punto provare a fare alcune proposte, all’interno del percorso tematico delineato dai diversi disegni di legge. Il tema della governance è quello che mi interessa di più. Ho già detto in precedenza che mi pare difficile eliminare del tutto il peso dei partiti e della politica nella scelta dei vertici di una società a prevalente partecipazione pubblica. Ma è indubbio che nei vari modelli che si sono realizzati nel nostro paese, ce ne sono stati alcuni più virtuosi ed altri meno.
Intanto mi pare indispensabile correggere un metodo di designazione che, come quello attuale, attribuisce nella scelta del vertice Rai un peso prevalente al binomio Governo e maggioranza parlamentare. A prescindere dal valore delle persone scelte, non mi pare che ci siano dubbi sul contrasto tra questo sistema e le indicazioni ricavabili dalla sentenza n.225 del 1974 della Corte costituzionale.
Mi pare che la maggior parte delle proposte all’attenzione della Commissione, vadano esattamente in questa direzione, nel senso di articolare maggiormente la composizione sociale del Cda Rai
Io credo dunque che l’obiettivo principale da perseguire sia quello di favorire la maggior indipendenza possibile del vertice della radiotelevisione pubblica. I due terreni principali sui quali si misura il grado di indipendenza sono rappresentati, da un lato, dalla fonte di nomina, dai requisiti e dal procedimento che determina la scelta del vertice e dall’altro dalle modalità di finanziamento del servizio
pubblico. E’ evidente che un sistema di finanziamento dipendente dall’Esecutivo e caratterizzato da eccessiva discrezionalità, mette la concessionaria in condizioni di dipendenza.
Il primo problema è quello decisamente più complesso, ma anche il secondo non è affatto marginale, dato che incide sui condizionamenti indiretti.
4. La forma giuridica della Rai. Vediamo innanzitutto quali sono gli strumenti per incidere sulla composizione del vertice.
Il modello della società per azioni è quello sul quale si è lavorato in tutti questi anni, a partire per l’appunto dalla legge di riforma del 1970.
L’adozione di una legge speciale, che non si discosti troppo dalle regole del codice civile, com’è avvenuto in tutti questi anni, non permette di distaccarsi dalla signoria di coloro che detengono il capitale sociale.
Questa è la ragione per la quale in un modo o nell’altro il MEF, attraverso l’Assemblea ha sempre finito con l’avere una parola importante, nell’indicazione dei vertici della società.
4. a) (segue) Il capitale sociale della Rai attribuito ad una Fondazione. Introduzione di una quota di azionariato popolare. Il modello societario più indicato per introdurre una composizione del vertice più rappresentativa della complessità sociale è proprio quella della Fondazione, che, per sua natura si presta ad un disegno legislativo più articolato. In altre parole il suo vertice può essere plasmato con maggiore libertà.
Le Fondazioni che conosciamo nel nostro ordinamento sono decisamente più duttili da questo punto di vista. Certo la premessa fondamentale è costituita dalla disponibilità del MEF ed in primis del Governo a cedere alla Fondazione il pacchetto azionario della Rai. Credo che sarebbe in ogni caso opportuno riservare al MEF una sorta di golden share, una quota del 10 per cento, corrispondente alla scelta di un membro del Consiglio della Fondazione.
Una volta compiuto questo passo, quelli successivi risultano decisamente più semplici. Questo è il motivo per il quale mi pare più percorribile la soluzione contemplata nei ddl Fedeli o Faraone, rispetto al modello De Petris che introduce un sistema di governo duale, all’interno della stessa società Rai.
Una seconda mossa che potrebbe accompagnare la costituzione della Fondazione è quella di intervenire sulla proprietà del capitale sociale, attraverso l’alienazione di una parte minoritaria dello stesso o attraverso un aumento del capitale sociale aperto allo sottoscrizione di un 30 per cento del mercato.
Questo percorso non è affatto teorico o astratto. Abbiamo già nel nostro ordinamento un articolo di legge (l’art.21 della legge Gasparri del 2004, per ora non applicato, ma tuttora vigente) che prevede una sorta di privatizzazione totale. Il riferimento a questo articolo della legge Gasparri è oggi presente anche nel ddl De Petris (vedi sopra).
La mia opinione, espressa in diverse occasioni, è nel senso che i principi presenti nella nostra giurisprudenza costituzionale impediscano di realizzare quel modello, dato che la partecipazione prevalente nel capitale della Rai, deve essere pubblica.1
L’impostazione più radicale della legge Gasparri non si concilierebbe con il fatto che la Rai si configura quale società di interesse nazionale concessionaria del servizio pubblico per una decina di anni e legata allo Stato da un Contratto di servizio che fissa obblighi molto precisi e riconosce una consistente canone di abbonamento2.
Non sarebbe invece impedita invece una privatizzazione parziale che non raggiunga in alcun modo la maggioranza del capitale sociale.
Una volta stabilito questo punto fermo (che comunque comporta una modificazione dell’attuale art.21 della Legge Gasparri) penso che si possa arricchire il modello, introducendo una sorta di azionariato popolare, riservato agli utenti e in caso di eccedenza della domanda, con preferenza per quelli di più vecchia data.
Del resto nell’articolo sopra citato (ai commi 4, 5 e 6) sono contenute delle disposizioni che possono essere agevolmente mantenute3. Come si può leggere in nota 3 il possesso di azioni è
1 Quest’impostazione è stata data fin dalla sentenza n.58 del 1965 e mai contraddetta.
2 V. R. Zaccaria, Rai il diritto e rovescio. Il servizio pubblico oggi. Passigli, Editori, Firenze, 2019, pagg.35 e ss; Id, Il diritto dell’informazione e della cominicazione, XI ed, Cedam, Padova, 2021, 303 e ss.
3 Art.21, comma 4. Una quota delle azioni alienate è riservata agli aderenti all’offerta che dimostrino di essere in regola da almeno un anno con il pagamento del canone di abbonamento di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, e successive modificazioni. Tali azioni non possono essere alienate prima di diciotto mesi dalla data di acquisto. 5. In considerazione dei rilevanti e imprescindibili motivi di interesse generale e di ordine pubblico connessi alla concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo affidata alla RAI-Radiotelevisione italiana Spa, è inserita nello statuto della società la clausola di limitazione del possesso azionario prevista dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994,
n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, prevedendosi il limite massimo del possesso dell’uno per cento delle azioni aventi diritto di voto per tutti i soggetti indicati dal medesimo comma 1. Sono, inoltre, vietati i patti di sindacato di voto o di blocco, o comunque gli accordi relativi alla modalità di esercizio dei diritti inerenti alle azioni della RAI- Radiotelevisione italiana Spa, che intercorrano tra soggetti titolari, anche
legato al pagamento del canone e sono posti limiti al possesso azionario rispettivamente dell’uno e del due per cento del capitale, con divieto di patti di sindacato.
Per le considerazioni svolte in precedenza non vi sarebbero obiezioni ad una privatizzazione parziale, limitata ad esempio al 30 per cento del capitale sociale.
Questi soggetti, titolari di una quota di proprietà, potrebbero avere per legge e, in presenza di una determinata anzianità, di benefici o agevolazioni sul pagamento del canone, e costituirebbero una solida base di fidelizzazione nei confronti della società concessionaria del servizio pubblico. Tutti questi soggetti, opportunamente riuniti in una forma associativa, potrebbero indicare fino ad un terzo dei componenti del Consiglio. Non sarebbe pertanto una componente investita della gestione, ma certamente del controllo sociale.
4. b) La Fonte di nomina del Consiglio della Fondazione. La prima conseguenza del modello della Fondazione dovrebbe essere quello di articolare maggiormente la composizione del Consiglio, affiancando alla designazione politica una percentuale significativa di rappresentanza sociale e culturale.
La legge dovrebbe individuare in primo luogo i soggetti ai quali attribuire la scelta dei rappresentanti politici ed successivamente affiancare a questi, altri soggetti ai quali attribuire un carattere complementare e integrativo.
Una volta stabilito il numero dei componenti (ipoteticamente 10 persone), credo che sia opportuno attribuire una quota non maggioritaria (per esempio 4 persone corrispondenti al 40 per cento) ai rappresentati delle istituzioni. (Corte cost. n.225 del ‘74)
Al di fuori di questo numero, la scelta del Presidente potrebbe essere attribuita in chiave di garanzia, ai Presidenti delle Camere, d’intesa tra di loro. Questo modello presente nella legge n.206 del 1993, ha dato eccellenti risultati e quindi conviene riproporlo.
La scelta dei tre membri di provenienza politica, dovrebbe essere attribuita, alla Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza (CPIV), riservando 2 posti alla maggioranza ed 1 posto alla minoranza. Il numero ristretto favorirebbe una scelta non collegata ad un singolo partito, ma piuttosto ad un area più vasta.
mediante soggetti controllati, controllanti o collegati, di una partecipazione complessiva superiore al limite di possesso azionario del 2 per cento, riferito alle azioni aventi diritto di voto, o la presentazione congiunta di liste da parte di soggetti in tale posizione. Tali clausole sono di diritto inserite nello statuto della società, non sono modificabili e restano efficaci senza limiti di tempo.
La CPIV avrebbe poi la possibilità, a differenza di quello che accade attualmente con la scelta attribuita ai due rami del Parlamento, di poter tener conto delle candidature avanzate sui siti delle Camere e di poter affiancare anche sistemi di audizioni limitate, ad esempio, ad un numero doppio o triplo rispetto ai membri da eleggere. La formazione di questa rosa potrebbe essere riservata ad una sottocommissione della Commissione ed in questo modo il procedimento potrebbe essere più rispettoso del metodo della autocandidature.
Un componente del Cda potrebbe essere riservato al MEF, che detiene il 10 per cento del capitale sociale, che lo sceglierebbe secondo i criteri previsti per le partecipate.
Altri due componenti potrebbero essere scelti, in caso di partecipazione azionaria, pari o superiore al 20 per cento da un’associazione che riunisce l’azionariato o diffuso, secondo criteri da stabilirsi. Si potrebbe dire così che agli abbonati viene riconosciuta una presenza nel Cda della Fondazione.
Gli altri (4) componenti potrebbero essere suddivisi (2) di designazione regionale e locale (Conferenza unificata), 1 di designazione universitaria (Crui) ed 1 di designazione dei dipendenti.
Una volta risolto il sistema di nomina del Consiglio della Fondazione, svincolandolo dalla maggioranza diretta o indiretta dal Governo, come vuole la Corte costituzionale, tutto diventa più semplice e la formazione del Cda della Rai può essere direttamente attribuita alla Fondazione secondo criteri che privilegino i profili professionali dei componenti e con una composizione decisamente più leggera.
c) Requisiti. Procedimento di nomina. Audizioni. Durata.
Abbiamo già accennato, poco sopra, anche ad alcuni aspetti procedimentali del nuovo sistema di nomina.
Requisiti ed incompatibilità possono agevolmente essere tratti dall’ordinamento attuale ed anche da alcune delle proposte contenute nei ddl. L’importante è comunque che i requisiti siano ragionevoli e non finiscano per ridursi ad una generica competenza e che si basino su criteri selettivi ed obiettivi. Non basta in altri termini una “generica riconosciuta competenza” come oggi recita la legge, ma andrebbe almeno specificato “da chi” debba essere riconosciuta questa competenza.
Deve inoltre essere corretto il sistema attuale che costringe gli aspiranti consiglieri a presentare candidature pubbliche (alla Camera e al Senato) che vengono sistematicamente ignorate dal
soggetto deputato a scegliere. Del resto nessuna meraviglia perché sarebbe molto difficile costringere l’Assemlea (organo politico per eccellenza) ad impostare un processo di selezione.
Io credo che sia più appropriato che le candidature vengano inviate ad un organo che è in grado di selezionarle. L’attribuzione della nomina alla CPIV (ad un organo più ristretto rispetto alle Assemblee) è sen’altro in grado di risolvere questo problema. Anche il sistema di audizione di alcuni dei candidati, in un numero doppio o triplo rispetto ai candidati da scegliere, è un procedimento che è in grado di dare risultati interessanti. Laddove viene praticato (Francia) i risultati sembrano molto positivi.
Infine bisogna evitare che il Consiglio, a prescindere dalla sua durata, (3 o 5 anni), sia rinnovato nella sua totalità. Pare decisamente più convincente la soluzione (che ritroviamo ancora come modello in Francia) di un rinnovo parziale del collegio. Basta stabilire che alcuni dei consiglieri durino per il primo mandato un numero di anni più breve degli altri. In questo modo stabilendo la regola della uniforme durata, a partire dal secondo mandato, si darà vita ad un Consiglio che realizza inevitabilmente una maggiore continuità di gestione.
- Il finanziamento della Rai. Abbiamo visto che il secondo parametro che misura l’indipendenza del servizio pubblico è costituito dal suo finanziamento4.
Esistono due profili per misurare la congruità del finanziamento. Un primo profilo è di ordine quantitativo. E’ evidente infatti che un servizio pubblico sotto finanziato rispetto agli analoghi servizi pubblici europei, tende a rendere fragile la società concessionaria e più esposta quindi a condizionamenti di varia natura. Il secondo profilo è di ordine qualitativo e dipende dalle modalità che accompagnano la determinazione del canone.
L’attuale modello del finanziamento da canone è stato delineato dalla Corte cost. con la sentenza n.284 del 2002.5 La stessa sentenza definisce sinteticamente il canone come imposta di scopo.
4 In ambito CEDU, una sentenza della Corte di Strasburgo ha riconosciuto come l’obbligo di finanziamento statale verso il servizio pubblico radiotelevisivo non possa comportare condizionamenti alla sua indipendenza. Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta sezione, 17 dicembre 2009, Manole c. Moldavia, ric. n. 13936/02.
5 Così dice significativamente la Corte: “Il finanziamento parziale mediante il canone consente, e per altro verso impone, al soggetto che svolge il servizio pubblico di adempiere agli obblighi particolari ad esso connessi, sostenendo i relativi oneri, e, più in generale, di adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non
Il canone Rai era stato caratterizzato negli ultimi anni da un grado fortissimo di evasione. La disciplina delle leggi più recenti, ha introdotto la riscossione nella bolletta elettrica ed ha contribuito senza dubbio a ridurre il tasso di evasione. Purtroppo la contemporanea decisione del Governo di abbassare la misura del canone, dai 113 euro annuali, prima, alla misura di 100 euro ed infine all’importo di soli 90 euro, ha sensibilmente ridotto il fatturato complessivo della Rai.
Oggi l’importo del nostro canone è uno dei più bassi d’Europa e il gettito non va interamente nella casse della Rai. Una quota importante di quello che veniva chiamato “extra gettito” e che ora ha avuto una disciplina specifica, prende altre direzioni6. La Rai risulta quindi complessivamente sotto finanziata rispetto ai corrispondenti modelli europei. Esistono a tal riguardo numerose comparazioni molto esplicite.
Anche le modalità di determinazione del canone evidenziano alcuni problemi. L’importo del canone è teoricamente attribuito sulla base dell’art.47 del TU al Ministero ma al termine di un percorso dialettico con la Rai che consente di misurare i fabbisogni. Negli ultimi anni però è accaduto che questo importo sia stato stabilito, senza alcuna motivazione (dato che le leggi per definizione, non hanno motivazioni) dalla legge di Bilancio. Anche se si tratta di una legge (che in quanto tale dovrebbe offrire una maggiore garanzia) è facile guardare oltre alla forma e capire agevolmente che nella sostanza delle cose è il Governo che finisce con lo stabilire l’importo del canone stesso. Purtroppo questo sistema non garantisce quell’indipendenza alla quale invece si deve guardare.
E’ difficile in questa materia fare delle proposte che non presentino obiezioni, ma forse si potrebbe configurare un sistema più oggettivo e che consenta di realizzare un sistema di maggiore stabilità con una sorta di price cap programmato (il 50/70 per cento del tasso di inflazione).
Per rendere più compiuto il sistema, al momento in cui si destinasse alla Rai l’intero importo, si dovrebbe trovare un meccanismo sostitutivo di alimentazione del fondo per il pluralismo
piegandole alle sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto “mercato” radiotelevisivo”
6 In un’audizione tenuta verso la fine dello scorso anno, l’AD della Rai ha proposto di ricondurre queste entrate a favore del Servizio pubblico, suscitando vivaci reazioni soprattutto da parte degli editori che rischiavano di vedere compromessa l’alimentazione del Fondo per il pluralismo.
(di quella,cioè, che è la parte più consistente della destinazione diversa).
Si potrebbe ad esempio finanziare il Fondo direttamente a carico del bilancio dello Stato o pensare di alimentarlo attraverso l’introduzione di un meccanismo sanzionatorio per gli sforamenti dei tetti pubblicitari (realizzati quotidianamente dalle televisioni, come qualsiasi centro media è in grado di testimoniare) e devolvere i proventi a favore del Fondo per il pluralismo che ha la funzione di sostenere la Stampa che rappresenta oggettivamente il “vaso di coccio” nella contrapposizione tra televisione pubblica e privata, nel rispetto dei tetti pubblicitari.
- Conclusioni. Il problema della riforma della Rai, come testimonia l’alto numero di disegni di legge in discussione davanti alla vostra Commissione, è reale e presenta anche un certo grado di urgenza.
Come emerge dai contenuti delle proposte ed anche dal contenuto delle audizioni, il perimetro risulta piuttosto ampio. Certo il capitolo della governance è oggettivamente quello più sviluppato, anche se non è il solo.
Su questo terreno l’obiettivo principale è quello di garantire un maggior grado d’indipendenza rispetto all’egemonia negli organi direttivi del binomio Governo-Maggioranza, ma anche quello di rafforzare questa indipendenza attraverso una rappresentanza più articolata. L’allargamento dell’area della rappresentanza rispetto alla sfera politica ed istituzionale, per arrivare ad un più ampio perimetro sociale e culturale, si può realizzare in modi diversi.
Io mi sono permesso di proporre un modello societario duale che individui nella Fondazione quel diaframma opportuno da creare tra la Rai e la dimensione politica. L’introduzione di una quota minoritaria di azionariato popolare o diffuso, consente di rafforzare ad un tempo il capitale sociale e di inserire elementi di garanzia e di controllo. La correzione del modello di privatizzazione previsto dall’art.21 della legge n.112 del 2004, consente di modificare anche un assetto che certamente confligge con i principi della nostra giurisprudenza costituzionale.
Complementare a questa impostazione risulta il rafforzamento dei requisiti di ammissione dei componenti, il procedimento di nomina e la durata differenziata dei componenti della Fondazione.
Da ultimo si è richiamata l’attenzione su un sistema di finanziamento che risulti adeguato, non discrezionale ed idoneo a sostenere un servizio pubblico competitivo nel nuovo scenario dei media che scaturisce dal nuovo TU attuativo della Direttiva Smav del 2018 (D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 208).