A poche settimane dalla sentenza della Cassazione che ha congelato il risultato del processo per l’uccisione di Andrea Rocchelli, “L’Espresso” riapre sul caso di un crimine di guerra rimasto impunito. Vengono qui anticipate le conclusioni di una brillante inchiesta, svolta da Giuseppe Borrello e Andrea Sceresini, con il coordinamento di Valerio Cataldi, che verrà raccontata per esteso in tv in due puntate di Spotlight , a partire dal 4 febbraio prossimo alle 21.30 (in replica alle 18 di sabato 5 e alle 9.30 di domenica 6 febbraio).
Il titolo del programma La disciplina del silenzio, la dice lunga sull’omertà adottata dalle istituzioni politiche e militari dell’Ucraina e qui con cura documentata a proposito dei fatti di quasi 8 anni fa, quando a Sloviansk nel Donbass vennero bombardati a colpi di mortaio 3 giornalisti inermi, Andrea Rocchelli, Andrej Mironov e William Roguelon, quest’ultimo fu l’unico a sopravvivere pur gravemente ferito all’attacco.
Borrello e Sceresini prendono le mosse proprio dalla dinamica dell’attacco ricostruita dagli inquirenti italiani e confermata dalle motivazioni di due diversi tribunali, la corte d’assise di Pavia e la corte d’appello d’assise a Milano, e cioè che la responsabilità dell’attacco è riconducibile alle forze militari ucraine, esercito e Guardia Nazionale, attestati sulla collina di Karachun.
Grazie al racconto di nuovi testimoni oculari ucraini, soldati dell’esercito regolare e in servizio quel giorno sulla collina di Karachun, l’attacco è messo a fuoco nella sua brutalità e illegittimità: in particolare si esplora la catena di comando dell’esercito dando nomi e volti ai protagonisti di quel tiro al bersaglio. Il comandante diede l’ordine, le “sentinelle” della Guardia Nazionale diedero le indicazioni per aggiustare il tiro e i mortai annientarono il gruppo rifugiatosi in un fosso per salvarsi dalla pioggia di colpi. Anche sulla tipologia delle armi in uso alle forze ucraine i due giornalisti aggiungono importanti dettagli che precisano il quadro e smentiscono le versioni ufficiali autoassolutorie fornite dalle autorità ucraine.
Le nuove acquisizioni integrano e confermano quanto era emerso nella precedente complicata vicenda giudiziaria che aveva visto imputato di concorso in omicidio il sergente italo-ucraino Vitaly Markiv, una delle “sentinelle” di cui sopra.
Ma nel contempo aprono nuove prospettive d’indagine.
I nomi eccellenti che ora emergono, tra cui quello di Mikchailo Zambrodskyi, sono stati accuratamente occultati durante i due gradi di processo, mentre le testimonianze dei capi e commilitoni di Markiv, pur chiamati dalla Difesa, avevano però confermato il ruolo e la posizione di Markiv e motivato la condanna dell’imputato in primo grado. Un vizio di forma nella raccolta di queste ultime deposizioni aveva poi reso possibile il ricorso in appello e la scarcerazione dell’imputato, confermata in Cassazione.
Ma ora qualche bocca si dissigilla: gli eroi che il governo ucraino vanta, che siedono in Parlamento o che vi sono stati in passato, posti ai vertici di istituzioni politiche e militari, interne e internazionali hanno molti scheletri negli armadi e responsabilità criminose che vengono progressivamente alla luce.