BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Querele temerarie ed equo compenso giornalistico. Sarebbe un bel segnale prima della fine legislatura…

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Ha scritto bene sul nostro sito il segretario della federazione della stampa Raffaele Lorusso in merito alla vetustà delle normative nel settore dell’editoria. Lasciamo stare per un attimo il campo radiotelevisivo, dove regnano tuttora il Testo unico dell’ex ministro Gasparri del 2005 e la leggina del 2015 voluta da Matteo Renzi sulla Rai. Ma lì qualcosa si muove con le nuove regole europee in fieri (Digital Services Act e Digital Markets Act). E rimandiamo ad un’analisi più compiuta il tratteggio della normativa sul post-umano dell’intelligenza artificiale, su cui si stanno confrontando scuole giuridiche diverse.

Torniamo all’editoria, dove il crollo delle vendite delle copie cartacee dei quotidiani (da 6 milioni al giorno dieci anni fa a 1,7 ml di oggi) non è per nulla pareggiata dagli esemplari digitali. E dove la crisi finanziaria si unisce ad un utilizzo selvaggio degli ammortizzatori sociali e al dilagare del precariato se non dello schiavismo intellettuale.

Eppure, una vera riforma – come si dice- organica risale a 41 anni fa. La blasonata legge n.416 risale al 5 agosto del 1981, quando c’erano Ronald Reagan e Margaret Thatcher, i Duran Duran e Massimo Troisi, il basket sopraffino di Larry Bird e Magic Johnson. E il tema era il freno da mettere al prepotere (c’era pure la P2) dell’allora gruppo Rizzoli-Corriere della sera, introducendo l’unica solida griglia antitrust conosciuta e riferimenti importanti alla trasparenza degli assetti societari. Non solo. Con la riforma si permisero interventi di sostegno, utilizzati e “novellati” da testi successivi, discendenti in linea diretta dalla l.416.

Ecco. Si può sognare un attimo? E’ lecito proporre al governo e alla larga maggioranza parlamentare che lo sostiene di dare un segno, anzi due, prima che si concluda la legislatura? In attesa o come prolegomeni di un riassetto organico che si cimenti davvero sulla e nella transizione digitale, si facciano subito due scelte: si vari un testo contro le querele temerarie, orrendo strumento di condizionamento e di censura; si attui – dopo anni di vergognosi rinvii- la piccola legge del 31 dicembre 2012 n.233 sull’equo compenso giornalistico.
Sarebbero due raggi di sole nella tempesta che attraversa un mondo – quello della libera informazione- considerato ormai un lusso nell’età sgradevole della post-democrazia. I poteri si accentrano e i contropoteri vengono via via travolti.
La federazione internazionale di giornalisti ha contato i morti del settore, 45 nell’ultimo anno. Cui si aggiungono le minacce, gli attacchi, gli insulti catalogati dall’apposito istituto del Ministero degli interni. Una quantità enorme ed abnorme.
Se vi è la volontà, i due provvedimenti possono trovare la loro epifania in tempi brevi, forse brevissimi.
Attenzione, Presidente Draghi: l’Italia è al 41°posto nella graduatoria sulla libertà di informazione. Ma potrebbe scendere. La via dell’inferno è in discesa.

 

 

 


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