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Quei tre proiettili per fermare Beppe Alfano

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Tre proiettili calibro 22 uccisero, l’8 gennaio di 29 anni fa, il giornalista Beppe Alfano a Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese.
Mi piace ricordarlo con questa meravigliosa foto, in cui con lui ci sono i figli Sonia, Chicco e Fulvio. Non si può, però, ricordare Beppe Alfano senza partire da quel coacervo di interessi che è Barcellona Pozzo di Gotto, patti inconfessabili tra mafia e massoneria deviata che si protraggono anche oggi. Basti pensare alla presenza di Rosario Pio Cattafi o alle parole della figlia Sonia sugli “innumerevoli depistaggi che sono stati adoperati da Olindo Canali (il pm al quale Alfano avrebbe rivelato di sapere della latitanza di Nitto Santapaola, ndr) il quale chiaramente non ha agito da solo, ma con la complicità di apparati istituzionali deviati con cui lui era in contatto”. O alle denunce fatte dall’avvocato della famiglia Alfano, Fabio Repici.

Alla morte di Beppe Alfano, infatti, seguì un lungo processo, e tantissimo fango per lui e per i figli (Sonia, in particolare). Perché oltre alla morte, Beppe Alfano doveva essere infangato, così come i familiari che ne hanno sempre chiesto Giustizia. L’unico condannato è il boss Giuseppe Gullotti (all’ergastolo) per aver organizzato l’omicidio, ma sono totalmente ignoti (per la Giustizia, non per chi conosce la storia) i mandanti.
Sonia ieri ha denunciato, ancora una volta, il silenzio attorno alla ricorrenza. Noi vogliamo rompere quel silenzio e far riecheggiare, oltre al ricordo, quei nomi “indicibili”.


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