“L’Arminuta”, di Giuseppe Bonito, prod.Ita, 2021.
Con Rosa Fiore, Vanessa Scalera, Carlotta De Leonardis, Elena Lietti.
Una ragazzina di 13 anni viene restituita ai suoi genitori naturali da quelli adottivi. Inizia per lei un’avventura dentro il mondo dei sentimenti traditi e ritrovati. La sua agiata vita borghese precedente viene travolta dal duro vivere contadino della sua famiglia originaria. E il passaggio dalla città alla campagna appare come una chiara metafora della Natura vista come luogo primigenio a cui l’uomo dovrà comunque ritornare per conoscersi veramente. L’Arminuta, la “ritornata” in terra d’Abruzzo, dove il film è ambientato, passerà dall’infanzia alla maturità in un breve lasso di tempo, sufficiente a capire che l’amore per chi ci sta accanto è complesso, e ha i suoi percorsi che portano verso verità ed emozioni mai immaginate. Essere figli, genitori, fratelli, appartenersi senza etichette assegnate da uno Stato o da un destino, è solo una scelta fatta di legami a cui non ci si può sottrarre. Bonito coglie lo smarrimento dell’Arminuta ispirandosi al primo Truffaut, facendola muovere dentro tempi morti e sensi di attesa che la descrivono e la raccontano senza remore, attraverso uno sguardo che ci regala smarrimenti, paure, gioie e la scoperta finale di un sè finalmente consapevole dell’altro, condizione necessaria per appartenersi e darsi senza infingimenti.
“A Chiara”, di Jonas Carpignano, Ita, 2021.
Con Swamy Rotolo, Claudio Rotolo, Grecia Rotolo.
Chiara, ragazzina calabrese, viene travolta da una realtà più grande di lei. Scopre di essere figlia di un affiliato alla n’drangheta. Non accetta passivamente la sua condizione, si ribella. Costretta dai servizi sociali ad allontanarsi da casa, fuggirà e vi farà ritorno per affrontare il male alla radice. Decide di rivedere il padre latitante, in un confronto che sa di resa dei conti ma che diventa anche consapevolezza di un mondo capace di annullare la volontà dei più deboli, stritolati dalla logica di una violenta sopravvivenza. Lo sguardo di Carpignano si ispira alla freddezza commossa dei fratelli Dardenne, ma gli occhi tristi e rassegnati di Chiara, mentre guarda la madre e la sorella dormire, in una sintesi visiva di ciò che chiamiamo pietas, sembrano uscire dalla penna del migliore Zavattini. Anni dopo, festeggerà il diciottesimo compleanno lontana dalla sua terra, segnata per sempre ma decisa a non rinunciare a vivere, proiettata in un mondo che oramai conosce bene, e da cui non si farà vincere. Presente, passato e futuro di Chiara sembrano fondersi, in una indistinzione temporale che vuole comunicarci la necessità di un destino da affrontare non per costrizione ma per dovere morale verso noi stessi e la realtà in cui viviamo.
“Ariaferma”, di Leonardo Di Costanzo, Ita, 2021.
Con Toni Servillo, Silvio Orlando.
Gaetano Gargiulo, veterana e stanca guardia penitenziaria, si trova, all’improvviso, ad assumere la dirigenza di un carcere ottocentesco giunto quasi alla chiusura. Come ultimo atto, l’Istituto ospiterà ancora per un breve periodo un gruppo di detenuti destinati ad un altro carcere ma adesso lì bloccati da un disguido burocratico. Carmine Lagioia, è un anziano camorrista, leader spontaneo del gruppo dei reclusi. Ben presto, dinnanzi alla carenza di cibo, egli si offrirà volontario come cuoco di tutti, detenuti e agenti. E’ l’inizio di una convivenza forzata, in una condizione di vita quotidiana che renderà difficile la coesistenza dei due gruppi antagonisti. Lagioia e Gargiulo scopriranno anche di aver vissuto la loro infanzia nello stesso quartiere di Napoli. Una sera, saltata l’illuminazione del vecchio edificio, carcerieri e carcerati si ritroveranno a cenare insieme, allo stesso tavolo, alla luce delle poche lampade a disposizione. Questa inedita condizione paritaria, farà emergere in tutti i commensali il senso insopprimibile della fratellanza, che non conosce divisioni di appartenenza e di ruoli. E’ una sospensione temporanea, destinata a chiudersi di lì a poco, ma in grado di diventare genitrice di una visione cristologica della realtà che Di Costanzo scolpisce genialmente sui volti dei detenuti, e che inchioda lo spettatore alla verità assoluta dell’umano colto nella sua assoluta e insopprimibile essenza. Il finale passa genialmente in rassegna i volti perplessi di detenuti e carcerieri, adesso tutti in attesa di un destino sempre più simile.