Quando la realtà di una candidatura Berlusconi alla Presidenza della Repubblica ha cominciato a diventare concreta all’inizio di gennaio, noi, un gruppo di donne veneziane, abbiamo avvertito con immediatezza che bisognava prendere una posizione pubblica come donne che ricordasse a se stesse e al paese intero chi era l’uomo Berlusconi.
Siamo dunque partite da una profonda indignazione e dalla convinzione che ciò che era in gioco fosse davvero cruciale per l’assetto democratico in questo momento in cui spinte verso il presidenzialismo associate allo svuotamento della politica e allo scollamento dalla realtà delle persone devono essere contrastate con decisione.
Indignazione è la parola giusta. Una parola che grida ancora di più se accostata a parole che sono state usate nei giorni scorsi per qualificare il profilo del Presidente della Repubblica: patriota, statista ecc.
Indignazione rispetto all’inesistenza dello scandalo che questa candidatura, anzi, ancora più abnorme rispetto alle procedure istituzionali, un’autocandidatura, doveva provocare.
Per questa indignazione bisognava pronunciare ad alta voce una parola di verità come quella del bambino nella favola di Andersen che dice: ‘il re è nudo’, cioè, in questo caso, che questo uomo è una figura ignobile e impresentabile.
Ma questo scandalo non c’è stato. Ed è gravissimo perché la sua assenza è profondamente turbativa dell’ordine etico su cui dovrebbe basarsi la politica e le istituzioni democratiche. Non si trattava solo di denunciare i molti procedimenti giudiziari, le accuse di corruzione e di compravendita di voti, i comportamenti indecorosi anche nelle più formali situazioni pubbliche che, giustamente, la petizione promossa dal Fatto Quotidiano fin dal mese scorso ha elencato. Noi volevano evidenziare con forza che proprio la presa in considerazione di questa candidatura era inaccettabile e che, rispetto agli uomini, noi donne avevamo un motivo discriminante in più: un uomo, un politico che era stato ed era incarnazione stessa di un patriarcato misero e degradato.
Nonostante fossimo partite con pochi mezzi, attivando le nostre reti di relazioni e poi via via allargandoci a contatti con i media e, soprattutto, registrando una petizione su Change.org, siamo riuscite a raccogliere in sole due settimane più di 60.000 firme. Non è stata solo una firma su un appello: quel gesto è stato spesso accompagnato da testimonianze, risposte, messaggi che rimarcavano quanto una presa di posizione simile corrispondesse a una necessità, e dava espressione al pensiero e al sentire di molte italiane.
Abbiamo inviato l’appello ai capigruppi del Senato e della Camera e alle donne elette in Parlamento nelle liste di centro sinistra e del Movimento 5 Stelle. Che nessuno ci abbia risposto, nemmeno tra le donne da cui ci aspettavamo un segnale di attenzione, testimonia la distanza dal confronto che avviene nel paese che si esprime anche attraverso i social media. Ai quali si è costretti a rivolgersi in assenza di una reale rappresentanza politica.
Ora la candidatura è stata ritirata ma lo scandalo permane: le motivazioni infatti non riguardano né il suo riprovevole maschilismo, la corruzione di giovani donne, unita agli attacchi e alle torsioni della Costituzione o le frodi, ma vengono invece occultate dall’uso di un aggettivo davvero ridicolo come “divisivo”. Un lessico che ha dimostrato una totale mancanza di coraggio nel confronto politico tra i partiti che dovevano dichiarare da subito questa candidatura irricevibile.
In questo modo il paese è stato lasciato in ostaggio ancora una volta dalla decisione di Berlusconi.
Le promotrici dell’appello: Tiziana Plebani Mara Bianca Cristina Giadresco Stefania Minozzi