La “resistenza” civile dei centri antiviolenza. Con idee straordinarie

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Sono così tante le vittime di femminicidio che certi giorni finiscono in coda alla cronaca nera ed è il segno dell’assuefazione dell’opinione pubblica, dei nostri orecchi, dell’attenzione che scivola via, dentro il burrone che fa della violenza una notizia “consueta”, senza più rumore, senza più parole. Eppure c’è un movimento amplissimo, fatto soprattutto di donne, ma non solo, che ogni giorno con progetti straordinari lavora senza sosta per sensibilizzare tutti contro gli effetti della violenza sulle donne, sui loro figli, sul mondo che le circonda. E alcune iniziative seminano stupore e fanno proseliti, sono storie di resistenza umana, talvolta urbana, civile, morale, legale. La prova lampante l’abbiamo avuta ad agosto 2021, in piena estate, la prima col covid tenuto un po’ a bada, mentre tutti erano proiettati verso le vacanze e l’unico vero argomento di discussione (e attenzione) era  la pandemia superata da poco. In quegli stessi giorni un gruppo di attiviste che da 13 anni gestiscono uno dei più noti centri antiviolenza della capitale otteneva un risultato che sembrava impossibile: “Lucha y Siesta” è stata salvata, l’immobile in cui opera è stato acquistato dalla Regione e così tolto dall’asta cui era destinato. L’annuncio fu salutato con una piccola festa della rete negli ambienti delle associazioni femminili, soprattutto è diventato il lieto fine da contrapporre a mille sequenze drammatiche, difficili da risolvere e che talvolta, restando irrisolte, diventano, appunto, oggetto di cronaca. L’epopea di Lucha y Siesta è uno dei tasselli di un puzzle che si snoda in tutta Italia e nel quale si muovono centinaia di donne, molte scampate a violenze e abusi subiti per anni prima che trovassero la forza di ribellarsi, denunciare, cambiare vita. Come hanno fatto le donne del progetto “Ilma” (Io lavoro per la mia autonomia) di Latina che, grazie ad un finanziamento del Dipartimento Pari Opportunità e con il sostegno del Comune e del Centro Donna Lilith, hanno potuto avviare un laboratorio di pelletteria che produce borse e oggettistica con la pelle di bufala, tipica dell’agro pontino ma finora mai valorizzata. La loro storia è raccontata in un docufilm, “Acrobate”, ed è un racconto che parla di rinascita, lenta, fatta di consapevolezza, battaglie, ferite sul corpo e nell’anima.
Le idee delle donne che hanno visto negli occhi l’orrore della violenza sono una scoperta, comunque le si guardi. Certe volte sono una lezione civica riassunta in pochi gesti. Seguirle equivale a stupirsi. E’ ciò che evoca uno degli appuntamenti organizzati lo scorso autunno durante la settimana dedicata alla lotta contro al violenza di genere. Le attiviste della cooperativa Eva, che a Casal di Principe gestiscono un centro antiviolenza dentro un bene confiscato alla criminalità, hanno organizzato una giornata dedicata alla bellezza, un evento di self make up a Casa Lorena per donne “in uscita da percorsi di vissuto di violenza” che quel giorno hanno potuto dedicarsi alla loro bellezza, alla cura della loro pelle maltrattata, forse senza più cicatrici fisiche visibili ma sempre devastanti.
Accanto ai numeri raccapriccianti sugli abusi e le violenze ci sono dunque storie come queste e sono tante, in crescita, sempre più “famose” con il loro carico di messaggi potenti, pratici, efficaci più di qualunque spot.


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