Abbiamo ascoltato con passione e interesse l’ultimo discorso di Sergio Mattarella nelle vesti di capo dello Stato. Ancora una volta, ha lasciato chiaramente intendere di non essere disponibile a concedere il bis, il che è altamente positivo e nell’interesse della comunità nel suo insieme. Per quanto la nostra stima nei confronti di un Presidente fra i più amati di sempre sia massima, bisogna infatti salvaguardare la forma repubblicana dello Stato da possibili derive monarchiche o autocratiche che costituirebbero un precedente gravissimo, specie se si considera la non eccelsa qualità dell’attuale classe dirigente italiana. Già nel 2013, a nostro giudizio, la rielezione di Napolitano costituì una forzatura inaccettabile e una sconfitta per la collettività, mettendo a repentaglio l’autorevolezza di una delle poche istituzioni che i cittadini ancora rispettano e nelle quali ancora molti si riconoscono. Evitiamo, dunque, una deriva pericolosa: le istituzioni sono di tutti e devono durare nel tempo, non essere piegate alla momentanea volontà di questo o quel rappresentante, nemmeno dei più apprezzati e capaci di raccogliere consensi intorno alla propria figura.
Il guaio è che la lezione di Mattarella resterà quasi certamente inascoltata. Se a parole tutte le forze politiche si sono dette concordi con la sua visione del mondo, saranno i fatti a smentire i buoni propositi. Al momento, regna sovrana la confusione. Manca una regia, mancano effettivi accordi, manca il comune desiderio di eleggere una personalità davvero in continuità con la saggezza mattarelliana e ci si preoccupa quasi unicamente di scegliere o un personaggio debole e incolore, dunque di per sé dannoso, qualunque sia il suo pensiero o la sua appartenenza politica, o un soggetto che garantisca ai parlamentari, terrorizzati dalla prospettiva del voto anticipato anche per via del referendum che ha sancito la riduzione degli stessi, che la legislatura arrivi alla scadenza naturale nel 2023. In pratica, queste forze politiche, tutte, nessuna esclusa, vorrebbero piegare una decisione che riguarda i prossimi sette anni a esigenze minime riguardanti i prossimi sette-otto mesi, rendendo bene l’idea della confusione e del caos che ormai regnano sovrani in un contesto ai limiti della disgregazione.
Nel ventennale dell’introduzione dell’euro, la moneta unica che purtroppo non è riuscita a creare un’identità europea compiuta e che per questo è oggi invisa a una parte significativa dei cittadini, Mattarella ha compiuto importanti richiami all’unità nazionale ed europea, rivolgendosi ai giovani con parole bellissime e nello stile del personaggio, immaginando il domani e proiettandosi verso nuovi orizzonti, lui che certo giovane non è ma conserva ancora la freschezza e la lungimiranza che ad altri sembrano drammaticamente mancare.
Ha parlato dei vaccini, dell’importanza della scienza e della necessità di non sprecare le opportunità che essa ci mette a disposizione, contrastando la deriva anti-scientifica che ha nei No Vax l’espressione più eclatante e pericolosa, soprattutto si pensa alle manifestazioni di distruttiva stupidità cui abbiamo assistito negli ultimi mesi.
Ha compiuto richiami importanti al bisogno di costruire e non di distruggere, e non è stata certo la prima volta, dimostrando di essere uno dei pochi punti di riferimento rimasti in un Paese che ormai ne è privo. Insomma, si è confermato un grande presidente in una stagione tremenda. E per quanto non tutte le sue scelte mi abbiano convinto fino in fondo, a cominciare dalla chiamata di Draghi nel febbraio scorso, ho l’amara sensazione che lo rimpiangeremo non poco nel periodo che ci apprestiamo a vivere. Eccetto alcune significative figure, che tuttavia non hanno grandi possibilità di essere elette, non vedo nel panorama politico italiano un successore all’altezza. E, quel che è peggio, temo che a breve ci renderemo conto di quali siano state le conseguenze pratiche dell’ultimo ventennio: nel contesto istituzionale, sfarinato e reso invivibile dopo la tragedia di Genova e tutto ciò che ne è seguito, e per quanto concerne il mondo dell’informazione, avvelenato dell’editto bulgaro di Berlusconi, notoriamente in corsa per il Quirinale, a dimostrazione di cosa abbia comportato la scomparsa dei fatti dai giornali e dalle televisioni. Temo di assistere in presa diretta al declino del mio Paese e della mia professione. Temo che mi riecheggeranno nelle orecchie le tante, strazianti testimonianze che ho raccolto in questi mesi. Temo di assistere a un quadro di sfacelo di cui vergognarsi di fronte al resto del mondo. Temo l’inconcludenza del Parlamento o, comunque, una scelta sbagliata e non all’altezza. E mi rendo conto che anch’io, ormai, di questa classe politica non riesco più ad avere fiducia né stima né rispetto, se non formale, per non scadere a mia volta nel populismo e nella barbarie.
Di Sergio Mattarella mi mancherà soprattutto la sensazione, che ho sempre avvertito in questi sette anni di presidenza, di essere al cospetto di un galantuomo e di un’àncora di salvezza cui aggrapparsi nella tempesta. A breve, potremmo andare alla deriva e non sarà rimasto più nessuno a difenderci.
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