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Il teatro delle illusioni, l’illusione del teatro: così è, se pare a me

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osì è (o mi pare) è il felice titolo, in versione solipsistica, di una riscrittura per realtà virtuale di Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello. L’ideazione, l’adattamento e la regia della sperimentazione sono di Elio Germano, anche interprete del protagonista Lamberto Laudisi. Per dirla con le stesse parole di Elio Germano, si tratta di una “messa in scena diversa dal teatro o dal cinema, un linguaggio terzo, capace di trasportarti con lo sguardo” all’interno della trama, ma senza poter parlare di palcoscenico in senso classico: s’indossa un visore che immerge lo spettatore tridimensionalmente nel filmato con effetto ultra realistico, amplificato dal fatto che si ha la possibilità di esplorare lo spazio in tutte le direzioni con il solo movimento della testa. Si direbbe quasi un videogioco, dove ti viene assegnato un personaggio, l’unico aggiunto al cast tradizionale del capolavoro pirandelliano, ovvero l’ipotetico padre di Laudisi, un uomo anziano su una carrozzina, di cui, abbassando lo sguardo, possiamo percepire le mani posate in grembo, quasi fossero le nostre.

La sensazione immediata e contraddittoria è però che il visore chiuda la visione, fin da subito, anziché aprirla, ci decontestualizzi come spettatori e non ci faccia in alcun modo “salire sul palcoscenico” perché il palcoscenico non c’è più: si entra nella casa di Laudisi, come all’interno di una vera e propria scena di un film.

La sensazione di percepirsi in mezzo agli altri personaggi è, di primo acchito, nuova e adrenalinica, ma annulla quella distanza fondamentale per osservare dall’esterno, ci dà l’illusione di far parte della storia ma in realtà è subito immediatamente evidente che il “nonno”, come viene chiamato da Dina (la giovane nipote di Laudisi), non sono io, non ha la mia voce (ogni tanto annuisce e prende brevemente parola) né ha il mio corpo. In questa realtà aumentata del tutto virtuale, la sensazione di “non essere io” è certamente funzionale al messaggio dell’opera: chi può dirsi “io”? Chi ci definisce e in virtù di quale verità assoluta?

A Pirandello sarebbe probabilmente piaciuto giocare anche con questo piano percettivo fittizio, che moltiplica i livelli di realtà. il relativismo e le maschere. Anche l’integrazione dei social network all’interno del meccanismo sociale dello spettegolezzo è profondamente adeguato per riflettere su come ci riconosciamo o meno nell’immagine che il mondo si fa di noi. Lo smartphone, che ci consente l’iperconnessione e il continuo rispecchiamento nell’opinione degli altri, che inevitabilmente ci conosce solo parzialmente, è un tritacarne, il gioco più infernale di tutti, amplifica e trasmette un’apparenza che non corrisponde alla verità, sempre se possiamo parlare di UNA verità.

La trama è un classico dei meccanismi di paese, con tutta la comunità incuriosita dall’arrivo di tre nuovi abitanti, un marito e una moglie in una casa, la suocera (nonché madre della suddetta moglie) in un altro appartamento. Apparentemente però la moglie è tenuta chiusa in casa del marito e alla suocera è impedito di farle visita. Chi è il pazzo? Il signor Ponza, che sostiene che sua suocera non ha mai accettato la morte della figlia e il successivo arrivo di una seconda moglie, che lei si ostina a credere ancora sua figlia? O la signora Frola, la suocera, che afferma invece che la moglie è sempre la stessa, sua figlia, che però suo genero non riconosce più dopo un lungo ricovero e che l’ha riammessa in casa solo a patto di risposarla come fosse stata un’altra donna? Chi ha ragione? Chi può giudicare e sulla base di quale prova “oggettiva” e incontestabile?

La recitazione all’interno del filmato è di tipo teatrale ma l’esperienza è cinematografica, anche se in forma immersiva. La fruizione è irrimediabilmente individuale, ribilanciata solo dal fatto che tutti gli spettatori in teoria vedono simultaneamente lo stesso filmato, ma non esattamente lo stesso, potendo ciascuno spaziare con lo sguardo a 360° nello splendido salone della villa in cui sono state effettuate le riprese. I problemi tecnici però, nel concreto, desincronizzano la visione. Il mio visore, per esempio, ha dovuto essere sostituito e ho sentito applaudire la gran parte del pubblico 3 minuti buoni prima che il mio filmato arrivasse alla conclusione. Alcuni spettatori fuori dal teatro lamentavano un fuori che l’immagine fosse in ritardo rispetto al sonoro, il che rendeva difficile seguire appieno lo svolgimento dello spettacolo. E’ previsto un supporto tecnico personalizzato, è sufficiente alzare la mano e attendere il reset del marchingegno: ho avuto l’impressione che in molti ne abbiano avuto bisogno. Sono piccoli problemi tecnici che però mostrano troppo il lato fittizio dell’esperienza, interrompono la magia e fanno venir meno la dimensione collettiva del pubblico in sala. Forse una delle cose più divertenti è stato infatti alzare per brevi attimi il visore e spiare i movimenti delle altre persone in sala, ognuna dentro il suo guscio percettivo individuale. Più metafora della società di così…! Ma nell’esperienza si perde più di quel che si guadagna: benché sia costituzionalmente e pirandellianamente impossibile uscire dalla propria visione personale della realtà, la riflessione può essere tale proprio nella consapevole certezza della contemporanea coesistenza di sguardi diversi e irriducibili, percepiti come tali. La mancanza della dimensione collettiva riduce in valore e in universalità l’esperienza teatrale.

L’esperimento tentato da Elio Germano è, nonostante tutto, affascinante, contemporaneo e pieno di potenzialità e di letture interessanti. La sua prova d’attore è inoltre piacevole e credibile mentre altri personaggi, come Marco Ripoldi nei panni del commissario Centuri, sembrano troppo poco attori teatrali, cedono a un realismo cinematografico che confonde i piani e perde di spessore.

Lo spettacolo ibrido incuriosisce e ha avuto talmente successo da consentire al Teatro Parenti di prolungare le repliche fino al 6 febbraio.

 

Così è (o mi pare)

adattamento e regia Elio Germano
con Elio Germano, Gaetano Bruno, Serena Barone, Michele Sinisi, Natalia Magni, Caterina Biasiol, Daniele Parisi, Maria Sole Mansutti, Gioia Salvatori, Marco Ripoldi, Fabrizio Careddu, Davide Grillo, Bruno Valente, Lisio Castiglia, Luisa Bosi, Ivo Romagnoli

Al Teatro Franco Parenti di Milano

Il teatro delle illusioni, l’illusione del teatro: così è, se pare a me


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