Il misterioso e innominato architetto evocato nel testo di Trevisan è in realtà Carlo Scarpa, che realizzò per Onorina Brion Tomasin la famosissima tomba monumentale a San Vito di Altivole, in memoria dell’amato coniuge l’industriale Giuseppe Brion (Brionvega). (ndr)
Sul palcoscenico si percepisce un’atmosfera funerea. Il salone principale di una vecchia villa impolverata, una scenografia maestosa che ricorda un tempio greco, un mausoleo, una casa senza pretese di comfort. Una coppia entra in scena facendosi strada fra ombre e polvere, minuscoli e schiacciati dalle colonne i due avanzano come nel cuore di una piramide. Si tratta di un’anziana signora veneta e del suo badante. Varcando la soglia della casa si entra in un universo complesso con leggi ed equilibri alieni, è uno spazio esistenziale ostile a chi non ne conosce e rispetta le regole. La donna non torna in quella casa da anni, in quel santuario in cui ha racchiuso tutte le sue memorie, si trova lì perché dopo la morte del marito ha deciso di venderla. Il coniuge è sepolto poco distante, in un cimitero evocato ai confini della villa. Due spazi, la villa e il cimitero, che sono immagine dei loro proprietari, due spazi costruiti dal medesimo architetto, anche lui morto durante un misterioso viaggio in Giappone.
Così si apre Il delirio del particolare di Vitaliano Trevisan con la regia di Giorgio Sangati, un testo labirintico, ingarbugliato, complesso quanto la vita. Il lungo monologo della donna ha come unico testimone il silenzioso Cechín, interpretato da Alessandro Mor, un distinto badante tuttofare che poco alla volta, seguendo le indicazioni della padrona, restituisce vita allo spazio. Il domestico libera i mobili dalle coperture che li celano, gli oggetti emergono dalle cassapanche e i vasi colorati sono posizionati a comporre un’immobile sinfonia. Il fluire della memoria è accompagnato dal fiorire della casa, lentamente tutti i frammenti si ricompongono e sboccia un disegno.
L’anziana signora, brillantemente interpretata da Maria Paiato, si abbandona al racconto con nostalgia e ironia, la sua necessità di fare i conti con il passato è palpabile e concreta. Quando Cechín tenta timidamente di intervenire lei lo interrompe. Per lui non c’è spazio in quel santuario, c’è una sola protagonista in scena. La sua staticità si contrappone ai movimenti dell’uomo, eleganti, calibrati e ossequiosi verso ciò che sta maneggiando, nulla in quella casa gli appartiene, come nulla appartiene alla donna esclusa un’appariscente poltrona e una vecchia fotografia. Tutto il resto è stato allestito dall’architetto a comporre una scomoda e misteriosa scenografia.
La vedova processa la sua vita, tratteggia i personaggi che l’hanno attraversata ormai scomparsi, descrive un’epoca passata in contrapposizione ad un presente che non comprende. È severa, mai al punto da condannarsi, del resto, come spesso ribadisce “Chi non fa non sbaglia”. Il suo dramma affonda le basi nella scelta di vendere o meno quella casa, una decisione già presa, un noto professore di architettura (Carlo Valli) la raggiunge prima del finale per concludere l’affare. Il conflitto occupa uno spazio minimo, tuttavia, in quello spazio si consuma il dramma di un’esistenza giunta al culmine. La memoria è l’unica cosa che conta. Cedendo quella casa al professore la donna cederà tutto.
La memoria è anche ricordo del misterioso architetto, personaggio centrale, evocato sul palco in più momenti. Un uomo ossessionato dal particolare e dalle scelte che esso comporta, un artista pienamente consapevole del proprio e altrui potenziale.
Il delirio del particolare poggia su un testo non semplice, un lungo e ininterrotto flusso di coscienza, tuttavia la sua forza sta proprio nella capacità di trascinare lo spettatore in un mondo evocato composto da dettagli e frammenti che danno forma ad una rappresentazione organica.
Un testo complesso, vivo, interessante e messo in scena da un ottimo cast.
IL DELIRIO DEL PARTICOLARE
Di Vitaliano Trevisan
Con Maria Paiato, Carlo Valli e Alessandro Mor
Scene Alberto Nonnato
Costumi Gianluca Sbicca
Musiche Michele Rabbia
Luci Cesare Agoni
Regia Giorgio Sangati
Produzione Centro Teatrale Bresciano, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano e Teatro Biondo di Palermo
Il delirio del particolare: dettagli di un’opera d’arte esistenziale