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I giornalisti ebrei cancellati dal fascismo. Presentato un film a Trieste

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Il 18 novembre del 1938 sul “Popolo di Trieste”, il quotidiano fascista della città pubblica: “Il Consiglio direttivo del Circolo della Stampa, riunitosi in seduta ordinaria, ha, fra l’altro, deliberato di considerare come dimissionari dal Circolo stesso gli iscritti giudei. Tali iscritti sono in numero di otto, di cui due professionisti e sei pubblicisti, e precisamente: Ida Finzi e Federico Levi, professionisti; Mario Bolaffio, Aldo Cassuto, Massimo Della Pergola, Edvige Levi Gunalachi, Vito Levi e Alice Pincherle, pubblicisti”.

Il 18 settembre 2020, ottantadue anni dopo, gli otto giornalisti vengono reiscritti all’Ordine dei giornalisti e all’Associazione della stampa, che sono gli attuali organismi di vertice della categoria. Un atto riparatorio voluto da Cristiano Degano, presidente dell’Ordine, e Carlo Muscatello, dell’Assostampa. Un atto che non cancella ma, anzi, vuole ricordare una pagina vergognosa della nostra storia. Perché la memoria “va messa sotto scorta”, come sta facendo da otto anni “Convivere con Auschwitz”, meritoria iniziativa di Gianni Peteani, figlio di Ondina la prima staffetta partigiana d’Italia, deportata nel lager nazista. Iniziativa che coinvolge tutte le facoltà dell’ateneo giuliano.

Le cronache di questi ultimi giorni confermano questa necessità di “mettere sotto scorta la memoria” per difenderla dalle più folli fake news che dilagano, insieme a offese e minacce, nella rete che diventa un’immondezzazio. Da comportamenti assurdi come quello delle due quindicenni di Venturina Terme, nel Comune di Campiglia Marittima (Livorno), che hanno preso a calci e a sputi un ragazzino ebreo, urlando che avrebbe dovuto finire bruciato nei forni. Dove hanno imparato queste disgraziate creature frasi così infami? In famiglia? E sarebbe grave. Fuoricasa, da cattive compagnie? E la famiglia non se n’è accorta? E a scuola non è emerso nulla? Sono domande che sorgono spontanee davanti a un episodio che fa rabbrividire, che fa paura.

Però questo episodio, come la marea di altri che ci riportano le cronache e la rete, è frutto di una società malata e di intellettuali, giornalisti compresi ,che, salvo le doverose eccezioni, hanno contribuito in questi ultimi trent’anni a disinformare, a sminuire i valori della Resistenza, a mettere sullo stesso piano i partigiani e i giovani di Salò, ad affermare che il confino era una vacanza, a buttare tutte le colpe della Shoah sui tedeschi, mentre gli italiani hanno contribuito, e come, alla soluzione finale con le infami leggi razziali, con la creazione degli uffici della razza dove erano schedati tutti gli ebrei con tanto di indirizzi, per cui è stato facile nel ’43 per i nazisti andarseli a prendere. E quelli erano riusciti a scappare venivano denunciati perché i delatori furono tanti, anche a Trieste dove il gauleiter Reiner si meravigliò di tanta collaborazione.

Apro una piccola parentesi: Reiner era al vertice della Zona d’operazioni del Litorale adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland) che comprendeva le province di Udine, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana sottoposte alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratte al controllo della Repubblica Sociale Italiana.

Come si può leggere nel diario di Galeazzo Ciano, Mussolini consegnò queste terre, costate 600 mila morti italiani e una spaventosa serie di distruzioni, sulle quali speculò esaltando la vittoria e l’italianità, senza opporsi. Tradendo tutti quelli che avevano creduto nella propaganda del regime, tra i quali tanti ebrei, come ricorda lo storico Enrico Serventi Longhi il quale lavora per la Fondazione Murialdi, che sull’informazione e sulle persecuzioni agli ebrei ha avviato una importante attività di ricerca.

E proprio per “mettere la memoria sotto scorta” l’atto riparatorio dell’Ordine e dell’Associazione stampa di Trieste è diventato un docu-film voluto dalle due organizzazioni dei giornalisti, dal Circolo della Stampa e da Link, con il sostegno della Fondazione CrTrieste e della Fondazione Casali.

Il filmato, che si intitola “I giudei eliminati dal circolo della Stampa”, stesso titolo usato dal Popolo di Trieste, è stato presentato nella Giornata della Memoria, in diretta streaming sulla pagina Facebook del Comune, del “Il Piccolo”, del Circolo della Stampa e di Articolo 21. Ha condotto la serata Cristiano Degano, hanno partecipato Carlo Muscatello e chi scrive, in collegamento con il sindaco Roberto Dipiazza, il direttore de “Il Piccolo”, Omar Monestier, il rabbino Alexander Meloni, il professor Sergio Della Pergola che ha ricordato il padre Massimo, l’autrice Sabrina Benussi, e lo storico Enrico Serventi Longhi,
Al lavoro di Sabrina Benussi ha collaborato il Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner”con la storica Annalisa Di Fant.Docente e film-maker Sabrina Benussi è anche l’artefice della mostra “Razzismo in cattedra” sugli effetti delle leggi razziali nelle scuole e del docu-film “1938, vita amara”. Domenica 30 gennaio, alle 9.15, il documentario verrà trasmesso su Rai 3 regionale, e, in replica, mercoledì 2 febbraio, alle 21.20, su Rai 3 bis, canale 103 del digitale terrestre.

Ma torniamo alla vicenda degli otto espulsi, avvenuta il 18 novembre 1938, prima ancora che le leggi razziali si occupassero dei giornalisti ebrei (le norme sarebbero state varate l’anno successivo) con uno zelo che traspare dal commento alla notizia dell’espulsione: “La decisione del Circolo della Stampa trova la piena approvazione delle Camicie nere del Popolo di Trieste. Era logico che i giudei non dovessero più far parte di quella che noi consideriamo la nostra casa, la nostra famiglia. Il giornalismo fascista è un posto avanzato della Rivoluzione, che dev’essere presidiato da uomini puri di sangue e di cuore, da militi fedeli interamente votati alla Causa. Quindi, niente da fare per i giudei, discriminabili o meno”.

L’ultima notazione riguarda sicuramente Teodoro Mayer, il proprietario e fondatore de “Il Piccolo”, che già a luglio aveva ceduto il suo giornale a Rino Alessi, da lui chiamato come direttore nel 1919, operazione propiziata dallo stesso Mussolini.

Sono gli effetti delle leggi razziali, proclamate dal balcone del municipio di piazza dell’Unità d’Italia il 18 settembre 1938 dal Duce, osannato da oltre 150mila persone pigiate all’inverosimile. Leggi che però si sarebbero susseguite anche successivamente normando tutti gli aspetti della vita civile degli ebrei.

Ma conosciamo i giornalisti discriminati. Il più famoso è Massimo Della Pergola, non per questa triste vicenda, ma perché nel suo esilio svizzero inventò la schedina.

“Nel 1938 ebbe inizio un’altra fase della mia vita – scrive nelle sue memorie -. Un mattino me ne stavo andando in redazione e, come sempre, camminavo leggendo “Il Popolo”. Improvvisamente mi fermai per rileggere allibito questo inatteso titolo a me dedicato: ‘Fuori l’ebreo, si respira aria migliore’. Pensai con amarezza ai colleghi che la sera precedente erano già al corrente di quel titolo e avevano taciuto. Non ho mai saputo quale di quei colleghi ‘amici’ avesse scritto il titolo e il malvagio articoletto”.

“Ricordo – prosegue – d’essermi recato ingenuamente al sindacato per protestare. Il dirigente mi ascoltò, m’interruppe e mi disse o meglio urlò: ‘Ma voi siete un ebreo e come tale potete fare soltanto lo spazzino’. Gli risposi: ‘Lo farei certo con dignità, mentre tu la dignità non sai neanche che cosa sia’. Me ne andai a testa alta, pensando, ma forse non intuendo fin in fondo, quanto era cambiata bruscamente la mia vita’”.

Nel ’43 fuggirà in Svizzera dove nascerà appunto il mitico 1 X 2 che farà sognare milioni di italiani. A guerra finita, tornato in Italia, si aprirà per Della Pergola una brillante carriera di giornalista sportivo.

Ricordiamo gli altri.  Ida Finzi, sostenitrice prima dell’irredentismo e poi del fascismo. Meglio nota come Heydèe, scrive sul Piccolo e altre testate di teatro, moda, bon ton ed è autrice di feuilleton di grande successo. Dopo il ’43 è costretta, ormai anziana, a nascondersi in un ospizio a Portogruaro. Muore in solitudine nel ‘46.

Federico Levi, allievo di Freud a Vienna, abbandona la psicanalisi e sceglie il giornalismo. Dopo la cacciata dal Piccolo si rifugia in Palestina fino alla fine della guerra.

Aldo Cassuto costretto pure lui a lasciare il Piccolo va in Inghilterra come rifugiato politico. Nella primavera del ’39 viene assunto a Radio Londracon il delicato compito di commentare le vicende del giorno, unico tra i collaboratori italiani.

Edvige Levi Gunalachi traduttrice dal tedesco (esperta di Goethe) ma anche dal greco, collabora con Mario Grambassi, caporedattore de Piccolo, inventore di “Mastro Remo” trasmissione radiofonica per bambini che otterrà un successo a livello nazionale. Riprenderà la sua attività di traduttrice dopo la guerra.

Vito Levi, musicista, compositore e musicologo, perde il posto di critico musicale al “Piccolo” e viene espulso anche dal Conservatorio  “Tartini”dove si occupava pure della Biblioteca, che gli verrà intitolata nel 2012.Dopo l’8 settembre ’43 vive nascosto a Venezia con la moglie Giorgia.Dopo la guerra riprende l’insegnamento al Tartini e all’Università di Trieste, collabora con la Società dei concerti ed è uno dei fondatori, attorno a Gianni Stuparich, del Circolo della cultura e delle arti.

Di musica si occupa anche Alice Pincherle che scrive per diverse testate. Di lei sappiamo poco, come poco si sa di Mario Bolaffio, dopo l’espulsione da quello che all’epoca era l’albo professionale dei giornalisti.

Queste storie, queste vite vanno ricordate anche perché i testimoni stanno scomparendo e l’unica arma contro il negazionismo sono i proprio le testimonianze, sono i fatti da raccontare. E non bisogna farlo soltanto una volta l’anno, ma lungo tutto l’anno per evitare episodi spaventosi come quello delle due quindicenni, ma anche disgustosi come i no vax vestiti da prigionieri dei lager. Un utilizzo aberrante di un terribile capitolo di storia che soltanto chi non conosce può aver concepito.

Tutto ciò si combatte con la cultura e dobbiamo farcene carico tutti.

Pierluigi Sabatti, presidente Circolo della stampa di TRIESTE


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