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Draghi sotto attacco. Il segnale di D’Alema

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Il flagello delle varianti Omicron e Delta ha riaperto delle pericolose brecce sanitarie e politiche. Sono riesplosi con enorme potenza i contagi da Coronavirus. E sono improvvisamente ricomparsi gli attacchi a Draghi.

Le cose cambiano in fretta. Il tecnico Draghi fino a dicembre era coperto di lodi per i successi riscossi nel 2021: la riduzione ai minimi termini dei contagi e dei morti per Covid, il salvataggio e il rilancio dell’economia italiana devastata dalla pandemia, la restituzione del prestigio e della credibilità internazionale all’Italia. Adesso, invece, sembra dimenticato tutto: la vaccinazione di massa, il rilancio dell’occupazione e degli investimenti impostati dal presidente del Consiglio e finanziati dall’Unione europea.

Sta tornando in voga l’antica immagine dell’ex presidente della Banca centrale europea, quella attaccata per anni dai grillini e dai leghisti in versione populista e sovranista: Draghi tecnocrate, Draghi espressione delle èlite europee, Draghi esponente della grande finanza internazionale.

Massimo D’Alema ha ridato fiato per primo a queste accuse esistenti anche all’interno della sinistra. In un brindisi di Capodanno in videoconferenza ha dato fuoco alle polveri: il governo Draghi «è una condizione di necessità» ma è inconcepibile l’idea «di sospendere la democrazia» e la subalternità alla «grande finanza internazionale». L’esponente di Articolo 1, favorevole a ricomporre la scissione del 2017 e a rientrare nel Pd guarito dalla “malattia” di Renzi, pronuncia un secco no all’elezione di Draghi al Quirinale. La mette così: teme che «il premier si auto-elegge capo dello Stato e nomina al suo posto un alto funzionario del ministero dell’Economia» (cioè il ministro Daniele Franco, un altro banchiere). Così sollecita «un ritorno in campo della politica» per eleggere il nuovo presidente della Repubblica anche con «una soluzione di compromesso» tra centro-sinistra, centro-destra e cinquestelle.

D’Alema non è più l’uomo potente di una volta: ex presidente del Consiglio, già segretario del Pds e dei Ds, esponente di punta del Pd fino all’uscita dal partito causata dallo scontro con Renzi. Adesso è un semplice “militante” di Articolo 1, piccola forza politica dell’1-2% dei voti in rotta verso la confluenza nel Pd. Ma D’Alema sente il polso di una larga base della sinistra che non vede di buon occhio il “commissariamento” della politica operato da Draghi, un economista esterno ai partiti e non eletto in Parlamento.

Mario Draghi ha più volte ripetuto il suo massimo rispetto per il Parlamento: governerà finché avrà la fiducia delle Camere. Ma si è mostrato disponibile a passare da Palazzo Chigi al Quirinale e qui cominciano i guai. Enrico Letta, segretario del Pd, e Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega e ministro, sono i suoi due più decisi sostenitori. Però sia il primo sia il secondo devono fare i conti con l’opposizione di larga parte della sinistra, della Lega e dei centristi di varia scuola. Nei cinquestelle, se possibile, l’opposizione è ancora più forte. Non solo. Il clima sarà probabilmente incandescente anche per l’imperversare delle varianti Omicron e Delta. I “grandi elettori” voteranno a scrutinio segreto e i “franchi tiratori” sono pronti a impallinare Draghi temendo l’uomo forte e le elezioni politiche anticipate.

La variante Omicron rischia di abbattere SuperMario. Il presidente del Consiglio ha bisogno di un po’ di fortuna. Forse per questo motivo a fine ottobre portò i leader del G20, in una pausa del vertice a Roma, a gettare una monetina nella Fontana di Trevi. Anche Draghi in cerca della buona sorte lanciò una moneta. La leggenda narra che basta gettare una monetina nella Fontana di Trevi per vedere esauditi desideri e speranze. Non sempre, però, i desideri si avverano.


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