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Con un piede fuori la democrazia parlamentare

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Elezioni per il Quirinale al buio. Draghi sarebbe disponibile al salto acrobatico da Palazzo Chigi al Colle. Finora, nella Repubblica Italiana, nessun premier in carica è stato eletto capo dello Stato.

L’impresa questa volta forse riuscirà all’ex presidente della Banca centrale europea e della Banca d’Italia. Lunedì 24 gennaio ha avuto una giornata di colloqui frenetici: prima ha incontrato Salvini, poi ha parlato con Letta e Conte. La situazione è molto complicata perché i partiti e le coalizioni sono spaccate anche al loro interno. Il segretario della Lega, come Berlusconi, è nettamente contrario alla salita del premier al Colle (togliere Draghi dal governo «sarebbe pericoloso»). Il segretario del Pd, viceversa, è favorevole («è assolutamente importante averlo nelle istituzioni del paese»). Il presidente del M5S, invece, è ostile a questa possibilità (è un errore «sostituire Draghi a Palazzo Chigi»).

C’è chi teme il passaggio da una repubblica parlamentare a una semipresidenziale, di stampo tecnocratico. Una parte dei leghisti è favorevole a Draghi al Quirinale: Giorgetti a novembre propose il trasloco al Colle (da lì «potrebbe guidare anche da fuori» il governo e «sarebbe un semipresidenzialismo de facto»). Anche alcuni settori dei cinquestelle sarebbero schierati per SuperMario (Grillo e Di Maio sarebbero per questo sbocco). Invece un’ala del Pd e della sinistra sono decisamente contrari (D’Alema teme il disegno «di sospendere la democrazia» per affidarsi al potere «della grande finanza internazionale»).

Elezioni per il Quirinale al buio. Nell’incertezza più assoluta il 24 e 25 gennaio si sono concluse con due “fumate nere” le prime votazioni sul nuovo presidente della Repubblica (hanno visto prevalere un mare di schede bianche). Mentre i 1.009 “grandi elettori” votano alla Camera con tutte le precauzioni dell’era Covid, Salvini e Letta si danno da fare come “registi”. Il primo per il centro-destra, il secondo per il centro-sinistra consultano e incontrano gli uomini del proprio partito, della propria coalizione e di quella avversaria. L’obiettivo è di trovare in tempi rapidi una mediazione per “una soluzione condivisa”.

Il centro-destra mette sul tavolo i suoi candidati: Pera, Letizia Moratti, Nordio. Quarta carta di riserva, coperta, è Maria Elisabetta Casellati. C’è un disgelo. Pd, M5S e Leu in una nota comune considerano la mossa un «passo avanti utile al dialogo» e non presentano una loro rosa di candidati. Ma l’intesa non c’è.

Una “palla” potrebbe andare in buca da giovedì 27 gennaio, quando il quorum per eleggere il presidente della Repubblica scenderà dai due terzi alla maggioranza dei votanti.

Gira anche il nome di Casini, ex Dc e allievo di Forlani, già alleato di Berlusconi nel centro-destra e da qualche anno senatore del centro-sinistra, come possibile punto d’intesa. Il presidente di Forza Italia non lo vede con simpatia ma sarebbe la “risposta politica” a quella tecnica di Draghi. La politica, sempre più debole, da trent’anni sta perdendo terreno rispetto ai tecnici: prima Ciampi divenne presidente del Consiglio e successivamente capo dello Stato, quindi a Palazzo Chigi planarono Dini e Monti. In questa legislatura prima Conte e poi Draghi sono diventati presidenti del Consiglio senza essere parlamentari. Se proseguissero senza esito le votazioni, Draghi al Quirinale potrebbe essere la carta vincente.

Ma le votazioni sono a scrutinio segreto e i “franchi tiratori” potrebbero affondare il salvatore dell’euro temendo la crisi di governo e le elezioni anticipate. La maggior parte dei parlamentari difficilmente sarebbe rieletta in caso di apertura anticipata delle urne e mettere in piedi un esecutivo con Draghi al Quirinale sarebbe molto difficile. Tuttavia ci sarebbe anche un’altra soluzione: nel caso prevalesse il caos Mattarella potrebbe essere rieletto, rivedendo il suo no a un secondo mandato per amore di patria. È già successo con Napolitano.


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