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Un ricordo di Raffaele Siniscalchi riflettendo sulla sicurezza sul lavoro

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Primi giorni di dicembre del 2006, pomeriggio inoltrato. Sono a lavoro nella mia stanza in Cgil, in corso d’Italia a Roma. Mi chiamano dagli uffici della segreteria generale per chiedermi se posso parlare con una persona di Articolo 21 che sta conducendo un’inchiesta sulle morti sul lavoro. Naturalmente rispondo di sì. Pochi giorni prima, nello stabilimento della Umbria Olii a Campello sul Clitunno (in provincia di Perugia), c’era stata un’esplosione spaventosa di un serbatoio, che era stato addirittura proiettato in aria per parecchi metri uccidendo quattro lavoratori. Raffaele Siniscalchi era il giornalista cui andai incontro nel corridoio ormai quasi buio. Non ci conoscevamo, ma il suo aspetto gentile e sorridente facilitò il nostro primo scambio di idee. Parlammo a lungo. Raffaele mi chiedeva degli ostacoli frapposti all’applicazione della normativa, delle politiche sindacali in materia di sicurezza sul lavoro, delle difficoltà di attuarle, delle cause degli incidenti.

S’era fatta ormai ora tarda quando uscimmo insieme e ci salutammo. Avevamo però concordato di rivederci, perché, alla fine, gli avevo rappresentato il bisogno che di sicurezza sul lavoro si trattasse con continuità sulla carta stampata o sul web, e non solo dopo incidenti gravi o gravissimi come quello appena accaduto dell’azienda olearia umbra. Raffaele aveva assentito pienamente e dalla sua intelligenza vivace era già sorta l’idea di uno spazio specificamente dedicato a questo tema sulla piattaforma di Articolo 21. Ne avrebbe parlato ai soci e ci saremmo rivisti. Nacque così il “Canale lavoro” e da quel giorno la nostra amicizia.

Da allora con Raffaele ci siamo frequentati assiduamente, abbiamo lavorato per alimentare il sito, sensibilizzare gli ambienti giornalistici sulla non ineluttabilità degli infortuni sul lavoro e far circolare l’idea che si potesse effettivamente dare spazio alla prevenzione dei rischi per la salute dei lavoratori e ai suoi protagonisti. Raffaele aveva alle spalle la grande e bellissima esperienza della rubrica “Cronaca” sul secondo canale della Rai, che dal 1974 ai primi anni ‘80 aveva documentato la straordinaria vivacità della società civile di quegli anni, portando per la prima volta nei palinsesti della televisione pubblica le dinamiche sociali e le donne e gli uomini che le animavano, con un metodo originale che li vedeva partecipare in prima persona, insieme ai giornalisti e agli operatori della Rai, a tutte le fasi della produzione, dalle riprese al montaggio.

Così fu, per analogia, per il Canale Lavoro di Articolo 21, con cui demmo voce ai familiari delle vittime degli infortuni, agli ispettori dei servizi territoriali per la tutela della salute nei luoghi di lavoro (la rubrica si chiamava “Diario di un ispettore”), ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls), ai magistrati e anche ai datori di lavoro. Di Raffaele fu l’idea di pubblicare un “contatore”, che aggiornava quotidianamente sul numero degli incidenti, spazzando via così l’abitudine a considerarli un fenomeno rappresentato solo da quelli che per la loro gravità avevano un’eco sulla stampa.

Quando, nel dicembre 2007, il rogo alla Thyssen Krupp di Torino causò la morte di sette operai, per giorni fummo impegnati a partecipare come Articolo 21 a interviste e dibattiti cercando di dare una risposta alla domanda che tutti si ponevano: come può accadere una cosa del genere? Con il Canale Lavoro avevamo ormai raccolto, in un’abbondanza di casi, testimonianze sufficienti a poter asserire che quasi sempre gli infortuni sul lavoro non sono frutto del caso, ma di un insieme complesso di fattori, in cima ai quali sta un’organizzazione del lavoro che privilegia il profitto alla salute degli operai, la mancanza di presidi di prevenzione collettivi e individuali, la formazione alla sicurezza degli addetti assente o inadeguata. Elementi che poi furono messi ben in evidenza nel processo che condannò per la responsabilità dell’incidente l’amministratore delegato della multinazionale tedesca e diversi dirigenti aziendali.

La stessa analisi vale purtroppo ancora oggi, anche se la legislazione è stata innovata (ricordiamo il cosiddetto Testo Unico sulla salute e la sicurezza sul lavoro, emanato nell’aprile 2008 proprio sull’onda della profonda emozione provocata dalla tragedia di Torino). Ancora oggi abbiamo purtroppo le nostre morti quotidiane sul lavoro, le malattie professionali che falciano vite in misura ancora maggiore, ma di cui pochi sanno, e soprattutto assistiamo al venir meno di quelle garanzie di regolarità del rapporto di lavoro che sono il terreno fertile su cui crescono i rischi per la salute dei lavoratori.

Per questo oggi ci sarebbe ancora bisogno di una comunicazione efficace e di approfondimenti seri su questi temi. Per questo oggi, a quattro anni dalla scomparsa, sentiamo ancora fortemente la mancanza di Raffaele.


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