Quella foto ci ricorderà per sempre questo terribile anno in cui ci sono stati oltre mille morti sul lavoro. Un ragazzo di vent’anni fa un selfie alzando il pollice per dichiarare gioia, soddisfazione, gratificazione per un lavoro che finalmente lo appaga. Poco più indietro, due suoi colleghi di 52 e 54 anni ridono divertiti e complici. Alle loro spalle il vuoto nel quale quel braccio di gru, sul quale sono montati allegri, pronti a lavorare senza alcun timore, precipiterà pochi minuti più tardi e li porterà alla morte.
Tre operai, simboli delle due generazioni, i più giovani e gli ultra cinquantenni, maggiormente colpiti dalla crisi economica che ha pesantemente intaccato non solo la quantità di posti di lavoro disponibili, ma anche la loro sicurezza. Crisi occupazionale il cui superamento non può e non deve essere accettato comunque, a qualunque costo, anche a rischio della vita.
Dignità del lavoro e sua sicurezza: ancora una volta solo la dirompente umanità di papa Francesco ha avuto la determinazione di chiedere la loro realizzazione, ad alta voce, agli uomini prima che a Dio, durante la solenne celebrazione in San Pietro dei riti programmati per la vigilia di Natale. Parole non certo di circostanza o di rassegnata accettazione dell’imprevedibile. Ma chi, come, quando la sua voce costantemente impegnata a tutela dei più deboli sarà ascoltata? E la sua richiesta non è rivolta a chiedere l’individuazione dei responsabili di questo o di altri incidenti sul lavoro, ma l’attuazione di un sistema di garanzie ancora ignorato o non applicato.
Nessuna accettazione, dunque, di quella ‘fatalità’ che il più delle volte caratterizza la cronaca di queste tragedie che colpiscono sempre i soggetti più deboli dell’organizzazione sociale. Alibi della ‘fatalità’ che ha trovato un potente alleato nella pandemia che sta sconvolgendo da due anni la vita quotidiana nostra e di tutto il mondo, con interventi disuguali tra mondo ricco e povero, tra garantiti e non, tra informati e non. Tutto questo mentre si ha l’impressione che si arranchi per trovare una soluzione definitiva, dove la cosiddetta ‘immunità di gregge’ è stata una pia illusione, con la progressiva riduzione della durata d’efficacia dei vaccini e il proliferare del numero di dosi in grado di combattere il virus in tutte le sue varianti. Ma davvero ci dobbiamo rassegnare a convivere con questo male? Perché la lotta a terribili epidemie come il colera, la poliomielite, il vaiolo, ebola è stata vincente, mentre oggi assistiamo a balletti di previsioni che creano solo allarme? Possibile che dovremo dipendere sempre di più dalla creatività interessata delle grandi società farmaceutiche mondiali?
La ricaduta dei radicali cambiamenti di vita ai quali ci siamo dovuti sottoporre è stata pesante soprattutto per gli studenti, per il mondo del lavoro, per i nuclei familiari, per i rapporti interpersonali. Soprattutto questi ultimi, ai quali è stato delegato, consciamente o inconsciamente, il compito di compensare i gravi disagi prodotti dalle forme di isolamento adottate dalle istituzioni per combattere la diffusione del virus, hanno determinato forti reazioni, positive o negative. Le peggiori quelle di tanti uomini che hanno scatenato su compagne, mogli, ex conviventi la loro violenza, frutto di debolezza psicologica o di incultura. Omicidi di genere, femminicidi a volte efferati, prodotti dalla concezione padronale, proprietaria in cui sempre più il modello maschile viene incanalato da stereotipi prevalentemente televisivi. Anche qui, quando l’alibi delle frustrazioni prodotte dalla clausura pandemica sarà spazzato via, bisognerà cominciare a pensare come costruire nuovi modelli educativi che, partendo dagli asili, ma anche dalle famiglie, costruiscano un’idea democratica, paritaria, del rapporto uomo-donna.
Per la seconda volta consecutiva si è ripetuto quell’ ’annus horribilis’ che dopo il 2020 sembrava non potesse essere replicato. Anno orribile cominciato con le immagini dell’assalto a ‘Capitol Hill’: spaventoso segnale di un presidente Usa uscente che spinge all’assalto della stessa democrazia che lo ha prodotto. Come comincerà il 2022? Quali giochi politici saranno messi in atto in Italia per l’elezione del nuovo Capo dello Stato? Giochi politici che sembrano quelli della famigerata epoca del pentapartito quando piccole formazioni dettavano condizioni su distribuzione delle poltrone. Sarà così anche questa volta, in presenza di mine vaganti inaffidabili che sceglieranno con chi schierarsi solo dopo aver ricevuto promesse e garanzie? Con il rischio che, come è già avvenuto nella recentissima storia politica, il sostegno venga dato ‘a tempo’. Speriamo di no perché con i fondi europei non si scherza e non si scherza neppure con la tenuta democratica di un Paese stanco anche di troppe chiacchiere e pochi fatti chiari, come i massicci astensionismi ai vari appuntamenti elettorali hanno dimostrato.