L’abuso denunciato da una nostra collega nel 2014 finirà probabilmente in prescrizione, dopo una lunga serie di rinvii. L’ultimo, paradossale, perché i locali del Giudice di Pace devono essere ristrutturati. Come lei, quante sono le donne di questo Paese che vedono le loro denunce cadere nel vuoto?
Oggi Giustizia di Fatto si occupa della storia di una sua giornalista. Elisabetta Reguitti è una collega che i nostri abbonati conoscono perché, sin dall’esordio, si occupa di femminicidi e violenze sulle donne. Il punto è che ad aver denunciato una violenza, nel maggio 2014, è stata proprio lei. E la sua storia merita di essere raccontata perché purtroppo è un paradigma di tante altre storie simili e di altrettanto simili processi.
È una questione di giustizia a 360 gradi. Una storia che deve far riflettere chi ha voglia di guardare nel sistema giudiziario italiano e comprendere cosa realmente accade quando si denuncia una violenza. Reguitti denuncia nel 2014 un tassista di Roma. L’uomo – racconta Elisabetta ai magistrati – l’ha strattonata e presa per i capelli. Il tutto, spiega Reguitti, è iniziato con “la solita discussione, scaturita sul percorso di strada da fare” che però “si è trasformata in aggressione”.
Non c’è soltanto la versione di Reguitti. C’è anche quella di due testimoni che “dopo aver sentito le mie urla non si sono girati dall’altra parte e con grande coraggio, senso civico e umanità hanno inseguito l’auto bianca che stava andando verso quello che chiamano “il serpentone”, con i suoi palazzi fatiscenti e distese di campi abbandonati”. I due testimoni hanno confermato la loro versione nel processo. “Ricordo che ero così sotto choc” continua Reguitti “che quando ho visto S. e N. ho pensato fossero addirittura dei complici di quell’uomo che qualche minuto prima mi aveva trascinata per i capelli. Non so, se non fossero intervenuti loro, come sarebbe andata a finire”.
Dal canto suo, il tassista, ha denunciato Reguitti per minaccia perché durante la discussione gli avrebbe detto una frase del tipo: “te la faccio pagare”. Ovviamente, nessuna frase, per quanto sgradevole, dovrebbe mai giustificare il passaggio dalle parole alla violenza fisica, ma resta il fatto che i magistrati hanno stabilito che Reguitti dovesse rivestire contemporaneamente il ruolo di persona offesa e di indagata. Resta anche il fatto che, se sulla frase incriminata c’è solo la parola dell’uno contro quella dell’altra, sulla violenza fisica, invece, abbiamo la conferma di due testimoni.
Aggiungiamo che se la stima dei femminicidi è purtroppo altissima, quella delle violenze sulle donne lo è ancora di più. Per comprenderlo basta citare un dato Istat: il 31,5 per cento delle donne ha subìto, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Elisabetta Reguitti è una di loro. Ma che accade se si denuncia una violenza? Se – come nel caso di Reguitti – la prognosi dei danni ricevuti è inferiore ai 40 giorni, il processo viene affidato a un giudice di pace penale. E qui viene il bello. Anzi, il peggio. Gli uffici dei giudici di pace sono infatti i più ingolfati dell’intero sistema giudiziario italiano. A questo punto diamo un’occhiata alla cronologia: nell’agosto 2014, circa tre mesi dopo aver scoperto di essere indagato, il tassista presenta la contro-querela e, a sua volta, riveste il ruolo di persona offesa. Reguitti, a sua volta indagata, deve quindi difendersi dalle accuse del tassista.
Le indagini – che pure hanno l’apporto dei due testimoni – durano ben 4 anni. Il processo inizia nel maggio 2018. E prosegue con i seguenti rinvii: 11 marzo 2019, 14 ottobre 2019, 30 marzo 2020, 16 novembre 2020, 13 settembre 2021. L’udienza finale viene fissata per il 13 dicembre 2021. Finalmente ci siamo, direte voi. E invece no: non verrà celebrata perché i locali del Giudice di Pace di Roma devono essere ristrutturati. Avete letto bene: rinvio d’ufficio per ristrutturazione. E conseguente prescrizione – salvo miracoli – del reato: maturerebbe il 27 gennaio 2022.
Ma allora: quanti sono i processi di donne aggredite che non otterranno giustizia in questo Paese? E non solo i loro. Di quale giustizia parliamo, se non ci battiamo per un sistema processuale che garantisca l’esito di un processo? Ecco perché la storia di Elisabetta Reguitti non riguarda soltanto lei ma tutti noi. Ecco perché merita di essere raccontata come Giustizia di Fatto ha deciso di fare. “La vicenda che ha colpito Elisabetta Reguitti – commenta il suo avvocato Andrea Di Pietro – sia sotto il profilo umano sia sotto quello processuale ha assunto negli anni dei risvolti kafkiani. Il suo caso offre lo spunto per ripensare alla leggerezza con cui a volte gli inquirenti mettono vittima e aggressore sullo stesso piano, valutando senza un minimo di senso critico controdenunce evidentemente strumentali a confondere le acque. A quel punto il processo diventa una seconda violenza sulla vittima. L’inchiesta è durata pochi mesi ma poi il procedimento è rimasto in fase d’indagini preliminari per anni, senza una vera ragione. Semplicemente perché l’attuale sistema giudiziario dei giudici di pace è al collasso e non riesce a smaltire il carico di lavoro che via via si accumula. Ora, con questa ristrutturazione del Giudice di Pace Penale di Roma chissà quanti processi si prescriveranno lasciando istanze di giustizia senza un esito”.
*Il Fatto Quotidiano