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“Santità faccia finta di pregare”. Il racconto di racconti di Giorgio Moscatelli

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Con i libri di inviati che raccolgono le loro corrispondenze, i loro reportages e inchieste, i racconti, le riflessioni, i ricordi, si possono riempire interi, vasti scaffali di librerie; e naturalmente ce ne sono anche di buoni, di eccellenti, che non si limitano a un solipsistico auto-compiacimento poco o nulla giustificato. Non tutti hanno la stoffa di Gian Gaspare Napolitano o Ettore Mo, Tommaso Besozzi o Egisto Corradi, Indro Montanelli o Luigi Barzini jr., Marco Nozza o Bernardo Valli: capaci di raccontare cose vere come fossero fantastiche; e il loro contrario: cose fantastiche come fossero vere. Mancava però il racconto, la “testimonianza” di una figura professionale fondamentale nel giornalismo televisivo: quello del tele-cineoperatore. Lacuna colmata con “Santità, faccia finta di pregare, racconti di un inviato”, di Giorgio Moscatelli. “Giornalista per immagini, sempre e comunque dalla parte del servizio pubblico e del pubblico”, lo definisce nell’affettuosa presentazione Giuseppe Giulietti.

Qui già si coglie un aspetto, essenziale, del lavoro di Moscatelli e dei suoi colleghi. Un giornalista della carta stampata può essere immaginifico, nelle sue corrispondenze; le può realizzare (succede spesso), senza scomodarsi e andare sul posto, restandosene comodamente nella hall di un albergo. Chi, al contrario, “indossa” una telecamera e con quella “scrive”, deve per forza essere “boots on the ground”: chi si occupa delle immagini, fotografo o tele-cineoperatore che sia, per far vedere, deve vedere lui per primo. E’ differenza. Per quello che riguarda in particolare la televisione, il giornalista che va in video, che presta la voce ( e capita si prenda premi e complimenti), può scrivere il testo più bello e commovente del mondo, ma se non c’è un’immagine, quel testo, e il suo “esibirsi” non valgono nulla. Per quel che riguarda soprattutto i servizi per il telegiornale, solitamente durano una manciata di secondi, quando va bene un minuto e mezzo… Ancora oggi, con quasi trent’anni di TV alle spalle, ancora fatico a comprendere come il giornalista autore del testo non esiti a sacrificare immagini che per il pubblico sono certamente più interessanti per imporre il suo volto, la sua persona; e vanno al macero immagini che magari sono costate fatica a chi le ha realizzate: i pochi secondi che lo spettatore vede è la sintesi di ore di logorante attesa, di pazienti postazioni, di colpo d’occhio e velocità, fantasia e professionalità maturata in anni. E l’autore di quelle immagini compare per un momento in un sottopancia, e via: scompare.

Ecco: finalmente con “Santità, faccia finta di pregare” Moscatelli, giornalista inviato della RAI che parla e racconta con le sue immagini, descrive una realtà poco conosciuta, e che non è valorizzata come si dovrebbe e merita.

Il giornalismo televisivo non è un qualcosa per “solisti”, per quanto virtuosi possano essere. E’ un lavoro di squadra: c’è chi realizza l’intervista, o scrive e legge poi il testo; ci sono i Moscatelli che procurano le immagini; gli assistenti dei tele-cineoperatori; e infine i professionisti che selezionano le immagini, le “montano”, dando senso e ritmo al racconto giornalistico. Quando tra i componenti della “squadra” si crea una sorta di “chimica”, il servizio può dirsi riuscito. Poi, certo, occorre una buona dose di fortuna: il trovarsi nel posto giusto al momento giusto, a volte è il risultato del caso, non di un calcolo. Per esempio quando Moscatelli nei giorni della guerra nel Golfo si trova a Dhahran, pochi minuti dopo l’esplosione di un missile che fa strage di marines americani, e le sue immagini, il suo racconto, sono quello che in gergo si chiama “scoop”. Ma occorre anche fantasia e sfacciataggine, come quella volta che con la collega Rita Mattei, si spacciano come una coppia di fidanzati e riescono così a documentare come, dalle coste tunisine i clandestini affrontano il mare e cercano di approdare in Italia. Ci sono poi momenti in cui è necessario recuperare un senso di umanità e di equilibrio. Sarebbe bello se ognuno di noi che fa e ha fatto questo mestiere, incontrasse un soldato come quello in cui Giorgio si imbatte in Vietnam. C’è un canto melodioso che attira la sua attenzione: è un ragazzino, che in questo modo chiede l’elemosina. Il piccolo è cieco: “Ho preso la telecamera con l’intento di registrare quelle immagini, ma non avevo ancora cominciato quando un militare mi ha fermato prendendomi delicatamente per il braccio. Nel suo intento non c’era nulla di violento né di autoritario, ma con un educato sorriso sulle labbra mi ha invitato a desistere spiegandomi che quel bimbo non era colpevole di quanto accadeva e che non era giusto sfruttare la sua immagine. Aveva ragione, ho abbassato la telecamera rimanendo immobile ad ascoltare quella voce melodiosa”.

Non volendola fare troppo lunga, si può dire senza tema di smentita o di esagerazione, che Moscatelli fa parte di una generazione di giornalisti RAI di cui si è come smarrita la matrice: professionalmente capace, una garanzia le trasferte con lui; diplomato nell’Istituto Superiore di Cinematografia, cresciuto alla scuola di maestri del calibro di Alessandro Blasetti, Nanni Loy, Eduardo de Filippo, Franco Zeffirelli; poi in forza alla RAI, esperienze al “Tg2”, al “Tg3”, a “Rai News”, un bagaglio di esperienze (i famosi boots on the ground), che vanno dalla tragedia a Vermicino, al terremoto in Irpinia; dalla Polonia stretta tra Solidarnosc, Lech Walesa e il generale Jaruzelski alla fine del regime di Pinochet in Cile; dalle infernali miniere di carbone in Siberia a Cernobyl; dalla guerra nel Golfo alla guerra civile nella ex Jugoslavia…I racconti che compongono questo libro, sono una raccolta di “frammenti” dal vivo, esperienze in “diretta” di un giornalista che ha lavorato con una telecamera sulla spalla, e pur avendo visto tante cose che lo avranno senz’altro turbato, commosso, inquietato, gli avranno fatto sacramentare tutti i santi del calendario, non ha comunque mai perso il gusto per lo sberleffo, che ha saputo coniugare un saggio ma non cinico disincanto con una non comune sensibilità e partecipazione; una dolcezza ruvida che riesce a trasferire alle immagini. Quando si trova in un’Etiopia devastata da guerre e fame, si pone il problema di riprendere il bimbo morto, e avvolto alla bell’e meglio in un panno: “Avevo sempre molta difficoltà a filmare quel tipo di immagini, odiavo disturbare simili momenti di dolore perché mi sembrava una violenza, soprattutto quando c’erano dei bambini. Giustificavo me stesso pensando che quello fosse il mio compito di giornalista, magari era anche vero. Chissà!”. Insomma: il benefico dubbio del dubbio. Come quando si trova in Irpina devastata dal terremoto: filmare e rendere coscienti e partecipi della tragedia in corso il paese; oppure cercare di aiutare chi davanti a te ha bisogno subito di una mano? E magari questo dubitare facesse parte del “bagaglio” professionale di ogni giornalista. Purtroppo così non è. Gli scrupoli di Moscatelli sempre più sono merce rara; con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti.

E’ un libro prezioso, questo “racconto” di “racconti” di Moscatelli. Dovrebbero leggerselo e meditarlo, lassù nei piani alti di viale Mazzini; chissà che qualcosa di quell’azienda che si chiama RAI finalmente non comincino a comprenderla. Perché la RAI è come una Ferrari guidata come fosse una 500; e al tempo stesso l’hanno ridotta come una 500 e vogliono che dia la prestazione di una Ferrari. La RAI ha mille e un difetto, e anche più gravi di quelli che possono apparire a un profano; ma è anche, pensate il paradosso, ancora oggi e nonostante tutto, una delle migliori televisioni al mondo. Pur se “comandata” per lo più da persone che poco o niente sanno di TV, e che impediscono a chi ne sa, di farla.

Da ultimo, il titolo: “Santità, faccia finta di pregare”. Si riferisce a un episodio gustoso, il lettore se lo vada a cercare; ne sarà divertito, ma è anche istruttivo. Uno dei tanti momenti che rivelano anche di che pasta è fatto il suo autore, e la fortuna che ha avuto chi ha potuto lavorare con lui.

Santità, faccia finta di pregare”

Giorgio Moscatelli

Bonanno editore, pagg. 188, 18 euro.


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