La Polonia in questo 2021 ha sicuramente fatto molto parlare di sè. L’anno è iniziato con l’entrata in vigore lo scorso gennaio della legge sull’aborto. La Corte Costituzionale di Varsavia ha stabilito che anche in caso di malformazioni di un futuro bambino non sará consentito l’aborto. Questa decisione limita la possibilità di ricorrere a un’interruzione di gravidanza.
Un verdetto dell’Alta Corte, sotto la guida della presidentessa Julia Przylebska, che ha affermato che la legislazione che lo permetteva era «incompatibile» con la Costituzione del Paese, che tutela «il diritto alla vita».
A questa legge hanno fatto seguito numerose manifestazioni di protesta e le attiviste avevano esposto striscioni negli edifici religiosi con la scritta “PiS è l’inferno delle donne” interrompendo le messe. Un atto simbolico fortissimo nella cattolica Polonia. Il PiS è il governo guidato dal partito nazionalista di “Diritto e Giustizia”.
Più volte nel corso di questo 2021 abbiamo intervistato Marta Lempart leader del movimento delle donne polacche Ogolnopolski Strajk Kobiet (lo sciopero nazionale delle donne) che rischia 8 anni di carcere per aver insultato la polizia durante le manifestazioni.
Marta, ci aveva giá detto che il programma del Governo era quello di “legalizzare la violenza domestica” e aveva previsto che la legge sull’aborto nonostante le protesta sarebbe comunque entrata in vigore.
E l’apice dello sdegno da parte dei polacchi a questa legge si è visto lo scorso novembre alla notizia della morte di una giovane donna.
È la storia di Izabela ricoverata in ospedale per setticemia dopo una rottura prematura della placenta alla ventiduesima settimana di gravidanza. I medici anziché procedere con un aborto per salvare la donna, hanno aspettato che il feto morisse, causando la morte anche della futura mamma.
Erano stati proprio gli avvocati della giovane Izabela a spiegare che i medici, una volta confermata la diagnosi di ‘difetti congeniti’ avevano volutamente atteso “la morte naturale del feto nell’utero” per evitare l’aborto nel rispetto “della legge vigente che limita le possibilità di un aborto legale”. “Tutte le decisioni mediche – si leggeva in una nota – sono state prese tenendo conto delle disposizioni legali vigenti in Polonia”.
Il caso drammatico di questa giovane donna, che poteva essere salvata, ha determinato un’ondata di proteste: alcuni attivisti per i diritti delle donne hanno deciso di scendere in piazza. Con fiori, striscioni, candele e canti protestano contro la legge anti-aborto. Lo slogan di tutti è stato “Nessuna più“. Perchè mai più nessuna donna debba morire come è morta Izabela.
Le mancanze nei riguardi della democrazia da parte della Polonia si sono fatti più reali lo scorso ottobre quando la Corte Suprema polacca ha respinto il primato del diritto comunitario sulla legislazione nazionale, affermando che alcuni articoli del trattato UE sono incompatibili con la Costituzione polacca.
La sentenza riguarda in maniera più ampia il Trattato sull’Unione Europea, aggiornato l’ultima volta nel 2007, i cui articoli 1 e 19 – che in estrema sintesi stabiliscono la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale in certi ambiti – sarebbero incompatibili con la legge polacca.
«Nel sistema giuridico polacco il Trattato sull’Unione Europea è subordinato alla Costituzione, e come ogni norma del sistema polacco deve essere conforme», si legge nelle motivazioni della sentenza.
Dunque il diritto nazionale non può sottostare secondo i vertici polacchi al diritto della comunità europea.
Questa decisione potrebbe non solo allontanare i fondi del Recovery destinati al Paese dell’Europa centrale, ma anche creare un vero e concreto passo verso una “Polexit”.
Le risposte a questa dichiarazione non sono di certo mancante e in un comunicato stampa, la presidente Ursula von der Leyen ha ribadito che “tutte le sentenze della Corte di giustizia europea sono vincolanti per le autorità di tutti gli stati membri, compresi i tribunali nazionali” avvertendo che “non esiterà a fare uso dei suoi poteri ai sensi dei trattati per salvaguardare l’applicazione uniforme e l’integrità del diritto dell’Unione”.
“L’Unione Europea – si legge ancora nella dichiarazione – è una comunità di valori e di diritto, che deve essere sostenuto in tutti gli stati membri. I diritti degli europei sanciti dai trattati devono essere tutelati, indipendentemente dal paese in cui vivono”.
Altra questione in primo piano è quella dei migranti nella zona di frontiera tra Bielorussia e Polonia. La crisi dei migranti ai confini dei due stati è scoppiata l’estate scorsa a causa di un forte aumento dell’afflusso di migranti provenienti da Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Mali, Bielorussia e Iran.
La Polonia ha schierato circa 15.000 poliziotti, guardie di frontiera e soldati lungo il confine con posti di blocco e convogli della polizia affinchè i migranti non entrino nel paese.
Il divieto non è riservato solo ai migranti ma anche a giornalisti e operatori di organizzazioni non governative. Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, ha ratificato infatti un disegno di legge che impone un divieto di accesso nell’area di confine.
Per entrare nella zona sarà necessario ottenere un permesso dalle Guardia di frontiera che potrà accordarlo “a sua discrezione”.
Questo lungo anno di privazioni e proposte antidemocratiche in Polonia termina con la proposta di una ulteriore legge sui media.
In un annuncio televisivo Duda, ha annunciato di aver posto il veto alla controversa legge sulla proprietà dei media che avrebbe costretto la società Usa Discovery a cedere la sua quota di controllo del network televisivo polacco TVN24.
Secondo la Costituzione polacca il Parlamento può respingere il veto del presidente con la maggioranza qualificata di 3/5 dei voti; l’attuale maggioranza di governo non dispone però di questo numero di deputati.
Il 19 dicembre scorso si sono svolte grandi manifestazioni popolari in oltre 100 città del Paese contro questa proposta e in difesa della libertà dei media. La legge, chiamata ‘lex Tvn’, avrebbe impedito alle società al di fuori dello Spazio economico europeo di detenere partecipazioni di controllo nelle società di media polacche. E questo avrebbe costretto il gruppo Discovery a vendere la sua quota di maggioranza nella Tvn, una delle più seguite reti televisive private della Polonia, che ha Tvn24 come canale di notizie.
Di certo non è stato un anno all’insegna della democrazia e della libertà, ed bene anche ricordare che la Polonia è lo stesso paese che ha dichiarato di voler uscire dalla Convenzione di Istanbul poichè contiene alcuni “concetti ideologici” che non possono essere condivisi dall’attuale esecutivo.
A questo punto ci chiediamo quanto ancora abbia senso che Polonia rimanga membro dell’Unione Europea che proprio sulla libertà e la democrazia ha fondato le proprie radici.