Come mai papa Francesco ha deciso di sbarcare su Netflix proprio dal 25 dicembre, il giorno in cui, probabilmente, si guarda di meno la televisione? Secondo me per combattere la battaglia culturale che infuria intorno a questa data. E per spiegarla questa battaglia bisogna capirla.
Da molti anni sia i papi che numerosi sacerdoti, non tutti, esprimono, anche con solennità, malessere e sconcerto per la riduzione del Natale a fatto consumistico. Eppure la grande abbuffata a cui molti di noi hanno appena finito di partecipare, e che per molti si protrae in estensioni natalizie anche nell’odierna festività di Santo Stefano, è il Natale se non per tutti per moltissimi. La grande abbuffata è una celebrazione che ostenta consumo e benessere, che magari non si possiede più come un tempo, ma che non può essere negato in questo giorno di festa, universale”. Universale? Esistono anche altre feste che mai ricordiamo, che rimuoviamo con grande semplicità, e che celebrano altri eventi che hanno spirito altrettanto universale, come la festa per la nascita, l’illuminazione e la morte del Buddha, ad esempio. Ma per noi il Natale è “la festa del mondo”. Eppure le parti più avvertire della gerarchia ecclesiale sanno che c’è una guerra per il Natale, e che loro la stanno perdendo. E lo dicono, o lo fanno capire. Ma non vanno allo scontro, probabilmente con avvedutezza, perché altrimenti oggi perderebbero. E così cercano di mantenere un tratto dello spirito del Natale nella festa conquistata del Natale.
Questa festa dunque va capita per capire la guerra che si combatte intorno alla sua celebrazione. Natale celebra la nascita del “Salvatore”, presentato così dall’Angelo, che dà due indicazioni ai pastori che lì si trovano e solo a loro: lo troverete in una mangiatoia, per lui non c’era posto nell’alloggio. Così, estraneo alla cultura del posto dove l’evento ebbe luogo, il cristianesimo occidentale ha rappresentato quell’evento come verificatosi in una grotta. Se per lui non c’era posto nell’alloggio e stava in una mangiatoia sarà stato in una grotta. E invece le case dei pastori del tempo, quelli a cui è stato dato l’annuncio, avevano scavato al proprio interno, in una sorta di seminterrato, il vano cieco per il bestiame, che così si controllava dentro casa, riscaldando l’ambiente ed impedendo loro la fuga. Dunque il “Salvatore” era nell’alloggio, ma sotto, tra le bestie con le quali si viveva, non in una grotta. Questo dato oggettivo, dovuto ai sistemi di costruzione del tempo, è stato oscurato per semplice ignoranza. Ma il dato oggettivo che quell’annuncio venisse dato a loro, ai pastori, cioè ai più umili e meno abbienti, no. Il Natale dunque, come tutte le religione dell’amore, si basa su quello che potremmo chiamare “comunismo spirituale”, sull’invito all’umanità a considerarsi una famiglia di diversi fratelli. E’ un messaggio di condivisione nella diversità, in questo senso di spiritualità comunista, e non a caso il rito decisivo del cristianesimo si chiama “comunione”.
Da quando il cristianesimo si è spaccato tra quello occidentale e gli altri – orientale e nordafricano- per la disputa sulla natura di Cristo, il cristianesimo occidentale, vincente, ha perseguitato quelli “eretici” fino a eliminarli. Era un cristianesimo, quello orientale, giunto fino in Cina già al tempo. Le sue grandi città oggi sono cancellate anche dagli atlanti. La storia occidentale del cristianesimo, che aveva il suo fulcro in Europa, è diventata occidentale nel senso di atlantica, e la sua cultura è diventata capitalista-consumista. Il Natale ne è diventato il simbolo espropriato. La cultura capitalista e consumista oggi si propone come universale, con qualche successo visto che è capitalista anche il comunismo cinese e il Natale capitalista e di conquista uniformante è un simbolo di conquista e omologazione globale. Per questo va sottratto, confiscato dai custodi originari, i pastori, per rimuovere il suo messaggio spirituale della condivisione e sostituirlo con quello dell’omologazione e dell’accumulazione. La religione dell’amore deve divenire “amore per sé e la propria ristretta ricerca, escludente degli altri.
Ecco allora che la serie che il Papa presenta e accompagna su Netflix ci presenta un’altra civiltà globale, fatta di diversi esseri umani, di diverse culture, che fanno, insieme, la storia dell’umanità. Non sono uomini di potere, sono grandi personalità o persone semplici, uniti dall’idea di condivisione. Uno dei più grandi registi contemporanei presenta il suo capolavoro, dedicarsi alla cura della moglie malata; una semplice donna presenta il dramma di decenni fa, la scoperta di sua figlia arrestata per reati d’opinione fino alla morte che segue di poco il sequestro del suo figlio neonato da parte dei suoi stessi carnefici e, scopertolo, lo urla e cambia; una grande etologa cambia la scienza per amore dei gorilla e spiega che hanno emozioni, contro tutte le supposte evidenze scientifiche; due anziani scoprono che la vita è ancora bella e alla loro età vivono ballando insieme, il tango; un pescatore esce in mare e diviene pescatore di profughi, che gli sfuggono tra le mani perché intrisi di kerosene. Non ha figli, ama il mare, ma da quel giorno non può più andare in mare ma ha dei giovani che lo chiamano “padre”. E’ questa la storia, non quella dei capi di stato. E’ questo il motore che ci fa camminare. Per i credenti in Gesù è questo il messaggio del Natale. E’ l’amore che muove la storia degli uomini, diversamente. Questi racconti si incrociano tardi loro, mentre gli anziani raccontano a giovani registi come ha camminato la storia, la nostra storia. E la storia continua. Dunque di questa serie su Netflix dobbiamo una gratitudine vera, credenti in ogni modo in cui si crede e non credenti o agnostici, a Papa Francesco e ad Antonio Spadaro che l’ha ideata. La battaglia non è persa, anzi!