Alcune evase ai lager libici, altre sfuggite alla cattura, hanno deciso di non nascondersi più: la speranza di una salvezza individuale da quell’inferno ha lasciato il posto alla “lotta collettiva fino alla morte”.
La loro richiesta è l’evacuazione immediata dalla Libia verso paesi sicuri per tutte, senza distinzioni di status migratorio.
Le autorità italiane, l’UE e lo stesso UNHCR, oltre che voltarsi dall’altra parte, lavorano incessantemente per aggravare la loro posizione: se da un lato lo stato italiano e l’UE hanno aumentato ulteriormente i finanziamenti agli aguzzini libici, che in questo presidio hanno assassinato diverse decine di persone, dall’altro l’UNHCR ne ha chiesto per ben due volte lo sgombero immediato.
Volevamo raggiungere l’Europa cercando una seconda possibilità per le nostre vite e siamo dunque
arrivate in Libia. Qui siamo diventate la forza lavoro nascosta dell’economia libica: poniamo mattoni
e costruiamo case libiche, ripariamo e laviamo auto libiche, coltiviamo e piantiamo frutta e verdura
per i/le contadini/e libici/he e per le mense libiche, montiamo satelliti su tetti alti, schermi etc.
A quanto pare questo non basta alle autorità libiche. La nostra forza lavoro non è sufficiente.
Vogliono il pieno controllo dei nostri corpi e della nostra dignità. Quello che abbiamo trovato al
nostro arrivo è stato un incubo fatto di torture, stupri, estorsioni, detenzioni arbitrarie.
Abbiamo subito ogni possibile e inimmaginabile violazione dei diritti umani, non solo una
volta.
Siamo state intercettate con la forza in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica –
finanziata dalle autorità italiane ed europee – e poi riportate nelle carceri e nei disumani campi
di concentramento. Alcune di noi hanno dovuto ripetere questo ciclo di umiliazione due, tre, cinque,
fino a dieci volte. Abbiamo cercato di alzare la voce e diffondere le nostre storie. Le abbiamo
raccontate a istituzioni, politici, giornalisti ma, a parte pochissimə interessatə, le nostre storie sono
rimaste inascoltate.
Siamo state deliberatamente messe a tacere e abbiamo deciso di rompere questo silenzio.
Dal 1° ottobre 2021, il giorno in cui la polizia e le forze militari libiche sono venute nelle nostre case
nel quartiere di Gargaresh e hanno compiuto repressioni spietate e raid di massa contro di noi,
migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate e detenute in disumani campi di
concentramento. Il giorno dopo, siamo venute come individualità e ci siamo riunite presso la sede
dell’UNHCR. Qui abbiamo capito che non avevamo altra scelta che iniziare ad organizzarci.
Abbiamo alzato la nostra voce e quella dellə rifugiatə che sono statə costantemente messə a tacere.
Non possiamo continuare a restare silenti mentre nessuno difende noi e le nostre vite .
Ora siamo qui per rivendicare i nostri diritti e cercare protezione in paesi sicuri.
Perciò ora chiediamo con fermezza con le nostre voci:
– Evacuazioni verso terre sicure dove i nostri diritti possano essere tutelati e rispettati.
– Giustizia e uguaglianza tra rifugiatə e richiedenti asilo registratə presso l’UNHCR in Libia.
– L’abolizione dei finanziamenti alle guardie costiere libiche che hanno, costantemente e
violentemente, intercettato le persone in fuga dall’inferno libico e le hanno portate in Libia dove sono
vittime di ogni tipo di atrocità.
– La chiusura di tutti i centri di detenzione in Libia, che sono interamente finanziati dalle autorità
italiane ed europee.
– Che le autorità consegnino alla giustizia i/le colpevoli che hanno sparato e ucciso i nostri fratelli e le
nostre sorelle sia dentro che fuori dai centri di detenzione.
– Che le autorità libiche interrompano la detenzione arbitraria delle persone prese in carico
dall’UNHCR.
– Forzare la Libia a firmare e ratificare la costituzione della Convenzione di Ginevra del 1951 sui/lle
rifugiati/e.
RIFUGIATƏ IN LIBIA: MANIFESTO POLITICO
FREEDOM, HURRIYA, LIBERTÀ!