Un drone a perpendicolo su quel chilometro di centro storico battuto dai romani potrebbe riprendere una scena inconsueta: una fila di scatoloni che dal portone del Quirinale escono in due rivoli lungo il Colle più famoso d’Italia. Il primo diretto ad un palazzo della Roma dei Papi, verso il Pantheon, l’altro verso la Roma più verde, fra villa Ada e villa Borghese, per finire in una palazzina moderna la cui ubicazione è top secret.
E’ il trasloco più importante d’Italia in corso nella capitale, vi presiede Sergio Mattarella, presidente della repubblica prossimo alla fine del mandato, che sta svuotando sette anni di permanenza al Colle: le carte di lavoro le manda a palazzo Giustiniani dove, come ex-presidente della repubblica e di conseguenza senatore a vita, ha diritto ad un ufficio tutto suo, mentre le cose di casa sono destinate all’appartamento che ha appena preso in affitto al quartiere Trieste (da vero “patriota”, direbbe la Meloni) e dove abiterà da semplice cittadino. A quanto ammonta il canone d’affitto non è dato sapere: “dei guadagni e delle spese” dei vip politici non si sa mai nulla, a differenza dei “Delitti e delle pene” che Cesare Beccaria illustrò dettagliatamente quando, da vero precursore degli attuali abolizionisti, nel 1764 si dichiarò contrario alla pena di morte.
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle”: mai Giacomo Leopardi avrebbe pensato che un giorno il suo colle marchigiano avrebbe dato il nome alla massima istituzione repubblicana. Ultimamente è diventata un’esigenza giornalistica: sia nei titoli dei giornali che nelle cronache televisive non è più possibile scrivere il “palazzo del Quirinale” o “la residenza del presidente della repubblica”: per dovere di sintesi si dice “il colle” tout curt, risparmiando spazio sulla carta e tempo su Tg e Gr. E pensare che quell’austero palazzo cinquecentesco è stato abitato dall’ultimo Papa Re (per la storia Pio IX) e dall’ultimo re d’Italia (per la cronaca Umberto II di Savoia). Oggi è semplicemente “il colle”, uno dei sette sui quali si stende Roma, neanche il più alto, (il primato spetta all’Esquilino) ma certo è il più “politico”.
Scatoloni che vanno, scatoloni che vengono. La corsa al Quirinale sta per partire. Ogni concorrente in cuor suo si sta preparando, c’è chi non lo dà a vedere e chi invece confessa che a lui, insomma, non dispiacerebbe. Come Berlusconi che a Roma ha di recente cambiato casa politica, passando da palazzo Grazioli, dove si svolgevano le contestate “cene eleganti” popolate di belle ragazze, a Villa Grande, sull’Appia Antica, che aveva dato in affitto a Franco Zeffirelli dopo averlo fatto eleggere senatore di Forza Italia. Da li al Quirinale il passo non sarebbe breve, ma il cavaliere non si tratterrebbe dal tentarlo, se solo intravvedesse la benché minima possibilità. Di altre auto-candidature al momento non si ha notizia, ma si parla molto di un tema inconsueto: una donna al Quirinale. Qui le candidature suggerite non mancano: dalla radicale Emma Bonino alla democristiana Rosy Bindi, dalla senatrice a vita Liliana Segre a Marta Cartabia, attuale ministro della giustizia, da Anna Finocchiaro più volte ministro, a Letizia Moratti, ex-sindaco di Milano e attuale vice-presidente della Lombardia, da Elisabetta Belloni, oggi a capo dei servizi segreti a Fabiola Giannotti direttore del CERN, da Anna Maria Tarantola ex-presidente della Rai, a Paola Severino, ex-guardasigilli, da Luciana Lamorgese attualmente agli Interni, a Roberta Pinotti, ex ministro della difesa, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Sempre nel campo delle ipotesi, se Draghi lascerà palazzo Chigi, da uno di questi nomi illustri nomi femminili potrebbe uscire il prossimo presidente del consiglio.
Vale anche per le donne quanto è spesso accaduto nella storia della repubblica e cioè che i nomi saliti alle alte cariche dello Stato siano usciti dal bussolotto della tombola tenuto stretto dai partiti. Quando il PCI si rese conto di non poter pretendere di più si impuntò sul nome di Nilde Jotti come presidente della Camera. Di lei si conserva un ottimo ricordo, non proprio come si può dire di chi le successe anni dopo: imposta dalla Lega di Umberto Bossi, a quella carica fu eletta Irene Pivetti, che in seguito diventò una dark lady televisiva e oggi è sui giornali a proposito di una compravendita di strumenti anti-epidemia. Beppe Grillo avrebbe detto: “Ah! Ti conosco mascherina!”.
Non alla presidenza della Camera ma per avere un deputato in più anche i radicali un giorno si impuntarono e aprirono le porte di Montecitorio a Ilona Staller, la popolare Cicciolina che incantò tutti i parlamentari presenti in aula con il suo ridotto abituccio verde, tutto veli e trasparenze. Non fu rieletta ma nemmeno dimenticata. Anni dopo fu l’armata femminile di Berlusconi a ravvivare i colori spenti di quell’”aula sorda e grigia” di cui Mussolini voleva fare “un bivacco per i suoi manipoli”. Non gli riuscì, come molti anni dopo ugualmente non riuscì ai grillini di aprire (il Parlamento) “come una scatoletta di tonno”. Cose dette tanto per dire.