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Il messaggio è il mezzo, McLuhan addio

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Il quarto rapporto Auditel-Censis presentato lo scorso 19 novembre (L’Italia multiscreen: dalla smart-tv allo schermo in tasca, così il Paese corre verso il digitale) è interessante e merita una lettura non solo statistica.

Smart-tv e smartphone sono entrati in scena prepotentemente nella fruizione televisivi: 7 milioni e 300.000 persone con più di quattro anni guardano il video attraverso Internet, con un incremento del 24,6% rispetto al 2019. La pandemia ha pesato, certamente. Un elemento di mosaico complesso. Non è sufficiente il lockdown a spiegare ciò che è avvenuto. Il professore del Georgia Institute of Technology Jay David Bolter chiama il contesto in cui stiamo la plenitudine digitale. Una rottura di continuità.

In simile quadro, culture alte e culture basse si incrociano senza una precisa gerarchia e il consumo di flusso sovverte le logiche del palinsesto. Nella ridondanza degli apparecchi (gli schermi all’interno delle case sono 119 milioni e 400.000 e solo quelli classici superano i 43 milioni) si trasforma, però, la sintassi delle audience. La televisione resta centrale, ma cambiano le modalità di un consumo sempre più individualizzato e on demand. Ad esempio, 24 milioni di italiani scaricano film dalla rete e 24 milioni utilizzano le piattaforme, spesso a pagamento (+38,2% nel periodo considerato).

Naturalmente, non è tutto oro. Esiste una larga componente di popolazione (2 milioni e 300.000, il 9,8% del totale) non connessa e una parte dispone ormai solo della linea mobile. Ecco perché, anche prendendo il tema da tale aspetto, c’è uno straordinario bisogno di una rete pubblica a banda larga e ultralarga, in grado di favorire l’ingresso pieno nella società digitale senza discriminazioni territoriali o economiche.

Inoltre, almeno 6 milioni di televisori sono oggetti di antiquariato, non essendo compatibili con i nuovi standard di trasmissione.

Senza indurre a tentazioni apodittiche, il panorama odierno ci fa capire quanto sia avanzata una vera e propria ri-fondazione del modello generale: non è il mezzo a determinare il messaggio, bensì è quest’ultimo ad orientare modelli produttivi ed estetiche del messaggio.

Già ora gli algoritmi provvedono a dettare le regole dell’offerta, sulla base della profilazione degli utenti e dei loro desideri espressi inconsapevolmente con i click o con i tasti del telecomando. Ma è il carattere cooperativo (consapevole o meno) tra chi fruisce e la fonte emittente a illuminare la tendenza.

Non è un caso se i vecchi gruppi cresciuti nell’età analogica sono in difficoltà, a partire da Rai e Mediaset non egemoni ancorché sempre forti.

La stessa conclamata tecnica digitale, diventata un’evocazione ossessiva nel dibattito pubblico, scricchiola di fronte alla progressione impressionante della fisica quantistica e dell’intelligenza artificiale.

La televisione, in quanto regina dei media cede il passo ad un’aggregazione reticolare che in tempi brevi troverà misure e assetti certi.

Il rapporto di Auditel e Censis, dunque, ci interpella sull’urgenza di cambiare approcci, sentimenti e legislazioni. Al centro stanno i contenuti, veicolabili in mille modi. La libertà e l’indipendenza della creatività di chi li costruisce è il punto chiave della riflessione.

Si rende indispensabile un’attenzione inedita alle diverse culture che irradiano gli infiniti canali diffusivi, contro ogni omologazione.

Le tecniche, senza saperi che le guidino e una scienza democratica che le governi, possono rivelarsi un rischio enorme.

PS. Nella rubrica della scorsa settimana si scriveva che Google Ireland si era vista annullare da TAR del Lazio una delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che la sanzionava per aver agevolato con un suo specifico servizio forme improprie di pubblicità a scommesse e giochi d’azzardo.

La legge non è uguale per tutti, si era intitolato. Accidenti, altro che. In una sentenza coeva, sempre il tribunale amministrativo del Lazio ha respinto il ricorso per una vicenda analoga del sito Il Giunco.net Quotidiano on line della Maremma. Persino Marx non avrebbe pensato di avere così ragione.


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