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Covid. Un malessere che non ha risparmiato i bambini

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Nonostante i disegni di buon auspicio, pieni di colori e di energia, neanche in questo 2021 ormai agli sgoccioli è andato tutto bene per i bambini e le bambine. Non solo per i piccoli che attraversano il Mediterraneo in cerca di un futuro, non necessariamente migliore basta che ci sia, e disegnano case, sperando di poterne prima o poi abitare una, come ci racconta l’equipaggio di ResQ, la nave della società civile che quest’anno ha salvato 224 vite; non solo per quanti percorrono la Rotta Balcanica e tentano il “game” per arrivare in Europa, sperimentando che giocare non sempre è divertente e non sempre fa crescere, a volte fa morire; non solo per tutti quelli che nascono nel posto sbagliato e non vengono neanche iscritti all’anagrafe, restando invisibili e finendo col diventare merce di scambio per la guerra, il sesso, i trapianti.

Non è andato bene neanche per i “nostri” bambini, peraltro sempre più rari, e le loro famiglie, che dal lockdown e dalle restrizioni tuttora presenti escono estremamente fragilizzati: secondo la ricerca di Stephen W. Patrick et al. del 2020 e l’Indagine-Irccs Gaslini dello stesso anno per 3 genitori su 10 con la pandemia è peggiorata l’organizzazione dei tempi di vita e lavoro, quasi 3 su 10 dichiarano di aver vissuto un deterioramento delle relazioni interne alla famiglia, dato che sale a 6 se si considerano i rapporti con gli amici, quasi 6 su 10 riferiscono segnali di sofferenza psichica a causa dell’elevata pressione e responsabilità rispetto alla gestione dei figli, oltre 2 su 10 denunciano un aumento del senso di insicurezza. Un malessere che non ha risparmiato i bambini: in 6 su 10 tra quelli sotto i 6 anni è aumentata l’irritabilità, i disturbi del sonno e l’ansia.

È quanto è emerso dall’intervento della pedagogista Monica Castagnetti relatrice al 7° Festival “Fin da piccoli”, tenutosi qualche settimana fa sul tema “Con le famiglie fin da piccoli. La comunità e i suoi servizi per il supporto alle competenze genitoriali”. «Genitori e operatori» ha detto Castagnetti «possono fare molto per ridurre le conseguenze dello stress, la fragilità non rende incompetenti: ogni genitore ha qualcosa da mettere sul tavolo educativo.» Una considerazione importante per superare la cultura dell’assistenzialismo e l’idea che le famiglie debbano essere beneficiarie degli interventi, mentre in realtà è sempre più evidente anche scientificamente, come ha ricordato il pediatra Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino, onlus promotrice del convegno, che l’ambiente familiare è il più forte e determinante.

«Quella genitoriale — ha affermato Paola Milani, docente di Pedagogia delle famiglie all’Università di Padova — è una funzione talmente impattante sulla crescita dei bambini che tutta la comunità è chiamata ad accompagnarla per contribuire a creare un ambiente benevolo, in cui i bisogni dei bambini possano essere nutriti, attivando il processo di formazione delle così dette skills, che non sono innate ma si sviluppano attraverso opportunità di crescita e di relazione. Non sono le famiglie ad essere deficitarie, è proprio educare che in questo tempo povero e precario è estremamente complesso. Motivo per cui è importante abbattere i silos e integrare i servizi, in un continuum tra promozione, prevenzione e protezione, e abituarci a vedere i bambini e i loro bisogni, non solo i loro problemi. Finalmente» ha concluso Milani «sono stati approvati i LEPS, i Livelli essenziali delle prestazioni sociali, che sono stati anche finanziati in legge di bilancio e che sanciscono con molto ritardo rispetto ad altri Paesi europei il diritto delle famiglie vulnerabili ad essere accompagnate.»

Considerazioni che fanno seriamente riflettere e pesano, soprattutto in considerazione del fatto che 1 bambino su 4 sotto i 5 anni vive con una madre vittima di violenza e dunque assiste alla violenza, il che significa che è a sua volta vittima di violenza, come ha evidenziato la psicologa e psicoterapeuta Gloria Soavi, past president CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) durante il convegno promosso dall’Associazione Culturale Pediatri in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia sul tema “La violenza assistita: bambine e bambini testimoni di violenza”. Da un’indagine effettuata presso 196 Comuni italiani è emerso che 193 minorenni ogni 1000 in carico ai servizi (su circa 400 mila) sono maltrattati (77.493) e che nel 91,4 % dei casi il maltrattante è un familiare. Situazioni in aumento (dal 2013 al 2018 ad esempio la violenza assistita è quasi raddoppiata, passando dal 20,3 al 39,8%) davanti alle quali i bambini provano rabbia, dolore, confusione, impotenza, angoscia, rabbia, ma anche colpa, invisibilità, emozioni congelate, dissociazione.

Da qualunque parte si fotografi questa realtà emerge chiara e prioritaria la necessità di fare sistema, di fare rete, di non chiudere gli occhi, di non pensare che le competenze sono di altri; inoltre è fortunatamente aumentata anche la consapevolezza — non solo negli operatori ma in tutta la società — che la responsabilità della cura dei minori dev’essere di tutta la comunità: secondo un’indagine condotta da Demopolis per l’impresa sociale Con i Bambini dal 46% del 2019 si è passati al 67% del 2020, segno che anche la cultura dell’infanzia sta a poco poco crescendo.

O almeno così ci auguriamo, condividendo l’auspicio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti, che in un messaggio rivolto a Parlamento, Governo, Regioni ed Enti locali si è così espressa: «Immagino un’Italia nella quale nessuna decisione che coinvolga i bambini e i ragazzi venga presa dalle istituzioni senza prima averli ascoltati e senza aver tenuto in adeguata considerazione le loro opinioni. Non solo perché è loro il futuro, ma perché appartiene a loro pure il presente.»

Sempre per quelli a cui è concesso di viverlo. A 19 di loro, provenienti da Afghanistan, Costa d’Avorio, Eritrea e Iraq e accompagnati a Trieste da 29 familiari, la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin ha restituito il presente e la speranza. E l’impegno continua: nel 2022 e oltre.


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