Lubianese di nascita, triestino d’adozione, cittadino del mondo per vocazione intellettuale, Demetrio Volcic ha raccontato agli italiani per anni, meglio di chiunque altro, forse proprio grazie all’inprinting delle sue origini, Mosca e l’allora Unione Sovietica e l’Europa oltrecortina. Da autentico uomo di confine, ha scelto di vivere i suoi ultimi anni nella mitteleuropea Gorizia, città fino a pochi anni fa tagliata da un muro che divideva la parte italiana e quella slovena. Città dov’era nata sua madre, il padre era invece triestino. La sua famiglia si era trasferita a Lubiana durante il fascismo. Entra in Rai nel 1956 a Trieste, nel ‘64 è inviato speciale, nel ‘68 corrispondente dall’estero: Praga, Vienna, Bonn, Varsavia, Mosca. Non c’è evento, fra quelli che portano alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, che Volcic non abbia raccontato da giornalista di razza agli italiani. Nel ‘93, dopo un quarto di secolo all’estero, torna in Italia, nominato direttore del Tg1. Nel ‘97, nelle elezioni suppletive seguite alla scomparsa di Darko Bratina, altro grande uomo di confine, è eletto senatore per il Pds. Successivamente europarlamentare, ha lavorato all’ingresso della Slovenia e di altri paesi dell’est nell’Unione europea. Conosceva sei lingue ed era un buon giocatore di scacchi. Lascia numerosi libri di successo, l’ultimo dei quali uscito quest’anno, una sorta di summa di quanto aveva scritto in precedenza, primo e unico libro in lingua slovena. Lascia soprattutto un figlio che vive a Mosca e una figlia che vive in Gran Bretagna. Disse una volta: “Sono sopravvissuto da spettatore a quei teatri dell’assurdo che il comunismo dell’Est ha rappresentato. Un tempo la pensavo come Joseph Roth, al quale bastò un viaggio in Russia per conoscere se stesso. Mi sarei ricreduto: la sofferenza altrui non aiuta a capire la propria, produce soltanto sensi di colpa e a volte ilarità…”. Pochi giorni fa, il 22 novembre, aveva compiuto novant’anni.