Sconforto, rabbia, amarezza, incredulità. È stata questa la reazione all’annuncio, da parte del LabLaw Studio Legale Rotondi & Partners di Milano, del premio come «Studio dell’anno Lavoro» ai «TopLegal Awards 2021». Si tratta dello studio legale che ha seguito la Gkn nell’opera di chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio (FI) e del licenziamento dei 430 dipendenti (con effetti per una ottantina nell’indotto), procedura interrotta dopo una sentenza del giudice del lavoro che ha dato ragione al ricorso della Fiom di Firenze, avanzato denunciando un comportamento antisindacale (insomma, perdono davanti a un giudice ma li premiano: boh…). Ma non è tanto il premio ad aver sollevato una reazione bipartisan sdegnata, quando la motivazione. «Stimato per la proattività e la lungimiranza con cui affianca i clienti. Come nell’assistenza a Gkn per la chiusura dello stabilimento fiorentino e l’esubero di circa 430 dipendenti», si legge nel post pubblicato sui social dallo stesso studio per celebrare il premio. Post cancellato dopo che il contro-post del Collettivo degli operai Gkn ha sollevato l’evidente contraddizione.
Per chi non conoscesse la vicenda, a luglio scorso i sindacati degli operai e dipendenti Gkn hanno ricevuto via mail la comunicazione dell’azienda di Campi (detenuta da un fondo inglese, Melrose Industries) di chiusura e licenziamenti. La loro reazione è stata convocare un’assemblea permanente, coinvolgere cittadini, sindacati, associazioni, partiti, istituzioni, altri operai in situazioni analoghe. È nata una rete di solidarietà che ha portato aiuti agli operai che sono rimasti a difesa della chiusura della fabbrica, il Comune di Campi ha firmato un divieto di accesso ai camion nel quadrato dello stabilimento per evitare che qualcuno venisse a portare via i macchinari, solo per citare alcuni degli episodi più rilevanti di un movimento che è arrivato ad una manifestazione da 20 mila persone a Firenze in solidarietà con la lotta degli operai, uniti dallo slogan “Insorgiamo” e da una strategia: far capire che il problema non riguardava solo loro, ma la dignità del lavoro, di chi lavoro. Il problema che volevano sollevare era un capitalismo finanziario disumano che decide di cancellare produzione e posti di lavoro non per una crisi, ma per fare profitti nel breve periodo e fare utili in borsa, più che sui prodotti. Lo slogan di Melrose Industries è infatti “buy, improve, sell”, dove improve non è migliorare la produzione ma i fondamentali finanziari e rivendere le industrie acquistate, a prezzi maggiorati. Un caso simbolo, insomma. E per questo lo sdegno, sulla evidente contraddizione tra un premio e il cinismo della motivazione, è stato ancora più amplificato di quanto si potesse immaginare in un primo momento. Ma la lotta dei lavoratori Gkn riguarda molto l’informazione. Non solo perché da bravi “comunicatori” quelli del Collettivo hanno fatto della trasparenza della loro azione e della conoscenza di quanto succede un cardine della lotta, ma anche perché hanno riunito tanti giornalisti e giornaliste per confrontarsi sullo stato delle condizioni di lavoro di chi li aveva raccontati in questi mesi. Un’assemblea in cui si è parlato del tanto precariato nelle imprese editoriali, di sfruttamento, di difficoltà anche del nostro sindacato nell’intercettare e coinvolgere tanti colleghe e colleghi, in un settore sempre più “flessibile”, destrutturato, dove le redazioni quasi non ci sono più, mentre esplodono service (veri o presunti).
La vicenda del post insegna molte cose. Intanto, che il marketing ha le sue regole, che si può vendere tutto, ma la realtà a volte riesce a porre un limite: anche al cinismo. Poi, che bisognerebbe valutare meglio prima di dare i premi (o almeno motivarli in modo diverso, o forse proprio non darli in questi casi). E infine, che la dignità del lavoro ha ancora un valore percepito molto di più di quanto si pensi, viste le reazioni al post: un messaggio che è stato cancellato dallo studio legale ma che è diventato un meme virale. E alla fine, con una ironia notevole, ci han pensato quelli del Collettivo a chiudere la vicenda, assegnandosi un “contro” premio come “Collettivo di fabbrica dell’anno” in quanto “stimato per l’attivismo e la lungimiranza con cui assiste lo Stato italiano nell’evitare la delocalizzazione di stabilimenti produttivi e per la tenacia con cui prova a dotare il paese di leggi, dignità e fiducia per evitare di essere depredato da multinazionali e fondi finanziari”. Perché come ricordano loro stessi citando Dario Fo, “Sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re”.
La vicenda della Gkn è un simbolo ma dovrebbe insegnare a tutti che denunciare le violazioni dei diritti del lavoro è sacrosanto, è giusto, è utile e forse può essere pure vincente. Se non nel caso specifico, in quello successivo. Può servire a prevenire (in pochi hanno provato a ripetere atteggiamenti simili a quelli della dirigenza Gkn) e intanto a ribadire che il lavoro deve avere la propria dignità. Un richiamo per tutti noi, che crediamo nel ruolo del sindacato.