BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Tina Merlin, una lezione civile per il giornalismo italiano

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Piccolo contro grande. Piccolo, anzi minuscolo, il borgo di Erto: frazione di partigiani e contadini. Grande, anzi maestosa, la montagna: il monte Toc, colosso di roccia dai fianchi di terra fragile. Grande, anzi onnipotente, la Sade: azienda privata dell’elettricità che dettava legge agli uomini ma non poteva comandare alla natura. E in mezzo c’era lei, una voce popolare che urlava le ragioni del buon senso: Tina Merlin.

Il suo nome non viene ricordato spesso. Forse perché provinciale, forse perché autodidatta e lontana dai circoli delle intellighenzie, forse perché dura e pura, senza nulla concedere ai compromessi. Ma proprio per questo Tina Merlin dovrebbe diventare un modello per tutti i giornalisti italiani.

La sua è stata una battaglia di passione, combattuta in solitudine: cronista dell’Unità, non è riuscita neppure a ottenere la mobilitazione del suo partito. Ha lottato per fermare la costruzione della diga sul Vajont spinta dall’amore per la sua gente, quella che nessuno né in Veneto, né a Roma voleva ascoltare. L’Italia del boom era affamata di energia e ubriaca di progresso: sognava di correre, di crescere, di archiviare la miseria della guerra. Non si preoccupava dei limiti: una nazione temeraria, aveva messo l’ingegneria al servizio del profitto, tanto – definizione di Tina Merlin – da prostituire la scienza in perizie tanto documentate quanto prezzolate.

Sarebbe bastato ascoltare le persone, andare nei luoghi, aprire gli occhi per rendersi conto dei piedi d’argilla di quel gigante di cemento. Solo lei lo ha fatto. Dopo un’assemblea degli abitanti di Erto, il 21 febbraio 1961 ha scritto sull’Unità: «Una enorme massa di 50 milioni di metri cubi di materiale, tutta una montagna sul versante sinistro del lago artificiale, sta franando. Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con terribile schianto. In questo ultimo caso non si possono prevedere le conseguenze. Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata, e a ragione, resista. Se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno, sarebbe un immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondovalle».

Per questo articolo è stata denunciata e processata: “notizie false atte a procurare allarme”. Il 9 ottobre 1963 invece le sue parole si sono rivelate terribilmente profetiche. Duecentosettanta milioni di metri cubi di terra piombano nell’invaso, provocando uno tsunami: la diga resta intatta; Longarone, Erto, Casso e altri borghi vengono spazzati via. Muoiono quasi 2mila persone, di loro quasi 500 sono bambini.

Da quel giorno, il termine “dissesto idrogeologico” sarebbe dovuto diventare la priorità per le istituzioni nazionali. Invece il Paese ha continuato a costruire sul fango: sono passati poco meno di sessant’anni dal Vajont ma continuiamo a pagare un prezzo altissimo alla cementificazione selvaggia.

Scriveva Tina Merlin anni prima dell’onda assassina: «Legalità e giustizia sono la parole che pronunciano con fermezza i montanari della Valcellina. Ed è nel rispetto della legalità e della giustizia, purché tale rispetto sia reciproco, che essi imposteranno tutte le loro future azioni per la difesa della loro terra».

Una lezione civile. Di cui oggi il giornalismo italiano dovrebbe impossessarsi. Farne metodo: riscoprire la forza della denuncia. E’ semplice: basta uscire per raccontare la realtà e descrivere quello che è sotto gli occhi di tutti ma nessuno vede. Basta andare nei condomini e nelle ville tirate su nel letto dei torrenti, che alla prima piena si trasformano in trappole letali. Basta contare gli alberi sopravvissuti e confrontarli con le foto di venti anni fa. Basta osservare i terreni che smottano in tutta la Penisola e ascoltare le voci dei contadini che tutto sanno di quei campi. Basta riscoprire il buon senso. E tornare così a dare un’anima e una missione alla nostra professione.

 

Floriana Bulfon è fra le relatrici del convegno promosso da Fnsi, Sindacato giornalisti Veneto e Articolo 21 Veneto a trent’anni dalla morte di Tina Merlin, che si terrà venerdì 5 novembre a Belluno. Con lei anche il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, e l’attore teatrale Marco Paolini, autore e interprete della memorabile “orazione civile” sul Vajont, nata proprio dalla lettura di Tina Merlin e del suo libro Sulla pelle viva.

L’evento, con inizio alle 10.30 nel Teatro comunale, rientra nell’ambito delle celebrazioni del Vajont, organizzate dall’omonima Fondazione e ha ottenuto l’adesione fattiva dell’Associazione culturale Tina Merlin, di Scuole in Rete e della Provincia di Belluno con il patrocinio dei Comuni di Belluno, Longarone, Borgo Valbelluna. Finora già 400 persone hanno confermato la presenza.

Il programma completo su:

https://www.sindacatogiornalistiveneto.it/sindacale/tina-merlin-1926-1991-giornalismo-dinchiesta-oggi-belluno-venerdi-5-novembre-ore-10-30/

 

Venerdì 5 novembre dalle 10.30 sarà possibile seguire i lavori da remoto collegandosi su
https://www.studentibelluno.it/le-scuole-in-rete/853-tina-merlin-21

 

 

(nella foto Tina Merlin, da Anpi Grosseto)


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