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Scompartimento n. 6. Un film dal sapore nostalgico, ricco di emozioni, affidate al potere rappresentativo della settima arte

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“Scompartimento n. 6”, opera seconda del regista finlandese Juho Kuosmanen – in concorso al 74° Festival di Cannes dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria, distribuito da Bim Distribuzione – approderà nella sale cinematografiche italiane il 2 dicembre prossimo.

Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Rosa Liksom (edizioni Iperborea), è un road movie ambientato negli anni ’90, ed ha come protagonisti due giovani coetanei: un’archeologa, Laura (Seidi Haarla), e un minatore, Lioha (Yuri Borisov), i cui destini si incrociano su di un treno, nella condivisione forzata del medesimo scompartimento in un viaggio interminabile di 2000 km: da Mosca a Murmansk (quest’ultima città situata nella parte nordoccidentale della Federazione Russa, nei pressi del Mare di Barents). Un viaggio estremo nell’inverno artico, in cui il sole è solito prendersi una lunga pausa. Ad accompagnare gli accadimenti un’atmosfera ingiallita dal tempo, dal sapore nostalgico, dove i richiami al tempo che fu sono onnipresenti: dalla cabina telefonica a gettoni alla videocamera analogica che fissa le immagini sgranate in bianco e nero. Il tutto, al di qua dei finestrini ingialliti e battuti dalla neve incessante, a simboleggiare quasi una dimensione altra rispetto al fuori: un luogo delle emozioni, dove albergano le ansie dei viaggiatori, inchiodati sulle pagine aperte delle loro vite.

Una trama narrativa in cui il treno assurge quale metafora della vita: la vita come un viaggio, con le sue stazioni, dove poter scendere… salire…. Un viaggio aperto ad ogni spettatore, dove questi, volendo, potrà prendere posto; ad una condizione però: la disponibilità a spogliarsi delle proprie paure, dei propri pregiudizi, per conoscersi meglio. Un viaggio dell’anima, dunque, in cui l’unico bagaglio consentito è quel groviglio di fili, sovrastrutture, che a volte ci avvolgono come delle spire – “… nel raggio le spire di fumo parevano seta, venatura di un legno prezioso…”- delle quali sembra impossibile liberarsi. Insomma, un labirinto inestricabile di emozioni.

Un viaggio che è anche una sfida interiore in cui bisogna essere disposti ad abbracciare sentieri inesplorati ed inespressi, dove la posta in gioco è ritrovare sè stessi, o smarrirsi definitivamente.

Ma veniamo alla trama.

Laura, giovane archeologa finlandese, sale su di un treno diretto in una città che si trova oltre il circolo polare artico per osservare i petroglifi, delle incisioni rupestri risalenti a più di 10.000 anni fa. Sullo stesso treno incontrerà Lioha, in viaggio per la medesima destinazione, dove l’attende un ingaggio come operaio in un campo minerario.

Due personalità agli antipodi, all’apparenza inconciliabili, l’una immersa nei suoi studi e nella passione per Irina (Dinara Drukarova) – una non più giovane intellettuale, dallo stile di vita glamour, che avrebbe dovuto accompagnarla -, l’altro, un giovane minatore russo disincantato, senza ideali o sogni, quasi mai completamente sobrio. Eppure, la convivenza forzata nel medesimo scompartimento, il n. 6, li avvicinerà pian piano, li porterà ad aprirsi, sino a divenire, l’uno per l’altra e viceversa, strumento di crescita, specchio dell’anima, corsia preferenziale con accesso diretto alle emozioni più sopite e più nascoste.

Un film dal sapore nostalgico, ricco di emozioni, affidate al potere rappresentativo del cinema. Un gran bel titolo.


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