“Il padre compra, la madre nasconde, il figlio trova” questa era la formula (in siciliano) usata per segnare l’addio di una illusione infantile. Fino a quel giorno i bambini in Sicilia credevano che fossero proprio “i morti” a nascondere balocchi e dolciumi (gli ossi di morto) la notte tra l’uno ed il due novembre, quando, lasciando le tombe, gli antenati venivano a trovare i discendenti che l’indomani avrebbero ringraziato, con la visita di rito al cimitero. Era un modo poetico per collegare i bambini alla memoria ed al rispetto per la morte. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi, già presente ai tempi dei “lari” latini; per inciso in siciliano “lariu” vuol dire brutto, come la morte. Questa tradizione si è quasi del tutto smarrita nell’antichissima isola di Sicilia. Mentre purtroppo dilaga la sconcia consuetudine di halloween. Un modo in realtà triste e volgare per festeggiare un periodo dell’anno che, da millenni, è legato al ricordo di chi non c’è più. Rimarcando la bruttezza della morte.
Forse non è il più urgente problema della cultura e dell’identità siciliane, ma purtroppo è anche questo un segno della omologazione mondiale che vuole cancellare le culture minori, che rappresentano soltanto un fastidio per la cultura dominante. Ma, come ci ha insegnato la sconfitta di Kabul, voler cancellare a tutti costi le diversità mondiali può avere ripercussioni enormi. Forse anche con l’aumento delle migrazioni dal terzo mondo verso l’occidente, perché un popolo senza legami con il territorio diventa un apolide, pronto a tutto pur di raggiungere una qualunque forma di benessere economico, non avendo più l’esigenza di un benessere culturale e morale. Salvare le tradizioni siciliane della “Festa dei morti” potrebbe dare un messaggio di speranza, per la vita.