Da settimane la narrazione sui flussi migratori fatta dai media nazionali si concentra sui luoghi di crisi fuor dai nostri confini. Polonia-Bielorussia, Francia-Gran Bretagna, Marocco-Spagna, Balcani-Grecia. Tralasciando o citando in modo superficiale quanto ancora accade nei nostri porti dove da inizio anno sono sbarcate circa 60.000 persone migranti che potrebbero essere tra quelle in attesa di attraversare la Manica a Calais, che hanno già hanno tentato la traversata o che sono annegate nel tentativo di raggiungere l’Inghilterra. Mentre c’è chi parla degli sbarchi nel nostro paese per fare improbabili connessioni tra l’ingresso della variante arrivata dal sud Africa e gli sbarchi dei migranti nei nostri porti. Pur non essendo sbarcato neanche un migrante sudafricano, proveniente da uno dei sei paesi a rischio. Oltre ad essere chiaro che la variante ha attraversato il continente africano in tutt’atro modo: con molta probabilità portato da turisti e imprenditori europei in viaggio di piacere o di affari.
D’altro canto, tenere il racconto fuori dal nostro “giardino” non servirà a fermare le fake news sui flussi migratori così come non potrà a lungo nascondere il dato di fatto che i flussi sono sempre più in crescita e pressanti.
Migliaia di vite approdano, e continueranno ad approdare, nel nostro paese con cadenza sempre più fitta e in condizioni meteorologiche che mettono a dura prova i soccorritori: siano essi dei corpi Guardia Costiera e Finanza siano operatori di organizzazioni non governative. Il racconto dei soccorsi di questi giorni arriva all’utente quasi come un lavoro di routine pur non essendolo affatto perché il mare stesso, nella sua imprevedibilità, lo rende un lavoro diverso ogni volta. Così come sono diverse le storie e le persone soccorse.
Non è routine soccorrere una puerpera che ha partorito su un barcone con 240 – per lo più siriani e palestinesi partiti dalla Libia orientale – a bordo di un peschereccio sferzato da una tempesta al largo delle coste calabresi. Non è routine il difficile lavoro della guardia costiera che carica di 80 vite umane su una CP 300, compresi la mamma con il suo neonato. E ci riesce solo con l’aiuto di due mercantili che si mettono di traverso per arginare il vento e le onde. Non è routine, quando alla fine di una nottata da incubo, i soccorritori dicono con voce sollevata: “prendi il bambino e la sorellina” porgendoli a braccia tese agli operatori sul molo di Roccella Ionica.
Eppure in pochissimi hanno raccontato i dettagli delle ore frenetiche, faticose, preoccupate, di questo soccorso come di tanti altri passati in sordina.
Da tutto il nord Africa sono partiti così in migliaia nel 2021. I flussi sono aumentati anche a soprattutto a causa della pandemia che ha impoverito ulteriormente paesi che come l’Egitto e la Tunisia dove l’economia, soprattutto quella che si reggeva sul turismo, é ora in ginocchio. Non è un caso che la maggior parte delle persone sbarcate in Italia siano tunisini ed egiziani. Come non è un caso che molti di loro, li rivedrete nelle “jungle” italiane al confine con la Francia o in viaggio verso il nord Europa. Perché é lì che sperano di assestarsi cercando di raggiungere parenti e amici già insediatisi in passato.
Queste persone non sono diverse da quelle che vediamo morire di freddo in Bielorussia, annegati nella Manica o tra l’Africa e le Canarie. Sono le stesse persone che sono state costrette a lasciare la loro terra che tenteranno il tutto e per tutto, persino di partire con le doglie pur di salvarsi da qualcosa che per noi non è neanche immaginabile.
Questo dobbiamo continuare a raccontare e documentare: insieme ai numeri le storie e le vite che ruotano intorno a questi numeri. Non solo quelle dei migranti ma anche quelle di chi li soccorre e di chi li accoglie, militari e civili. Sfatando luoghi comuni, false notizie ed evitando di sorvolare su ciò che accade nel nostro giardino che resta uno dei luoghi di approdo preferiti da persone che non hanno alternativa alcuna se non affidarsi ai trafficanti. Finché altre soluzioni non saranno trovate.