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Maria Grazia Cutuli, vent’anni dopo

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Quando finisce una guerra, quando cade un regime, quando c’è un cambiamento traumatico, quando una catastrofe colpisce un luogo lontano del pianeta il tempo sembra congelarsi: quello che è stato non c’è più, quello che deve arrivare non c’è ancora. E’ una sorta di vuoto nel quale i giornalisti provano a tuffarsi – prima che arrivino nuove barriere di confine e nuovi padroni del vapore – per cercare di raccontare quello che sta accadendo, per raccontare la Storia in presa diretta. E’ un esercizio necessario quanto rischiosissimo come ci ricorda la data del 19 novembre. Quel giorno di vent’anni fa, Maria Grazia Cutuli del Corriere della Sera, Julio Fuentes di El Mundo, Harry Burton e Azizullah Haidari della Reuters vennero uccisi mentre percorrevano la strada verso la verità. La loro auto venne bloccata da un gruppo di rapinatori tra Jalalabad e Kabul, all’altezza di Sorobi, un percorso che pure era stato già compiuto da altri colleghi senza danni mentre, lasciando il Pakistan, volevano arrivare in Afghanistan dove l’Emirato era stato appena spazzato via dai bombardamenti americani.
Nei giorni scorsi, ospite del congresso dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della Rai, il vicedirettore del Corriere dell’epoca, Carlo Verdelli, ha ricordato l’ultima telefonata con Maria Grazia, quella in cui autorizzava la sua permanenza in trasferta (potete trovare l’intervento integrale in calce a questo post). Di Maria Grazia ha detto: “Aveva l’ossessione di raccontare quello che accade dove la terra brucia”. Credo si tratti di parole da conservare come una cosa preziosa perchè definiscono bene lo spirito che il giornalismo non deve perdere. Nell’era dell’iper-informazione, quando in pochi minuti ci si possono procurare notizie e immagini che arrivano dall’altra parte del mondo, il ruolo degli inviati pare un lusso del passato, a volte persino un intralcio “slow” nei tempi dell’informazione “fast”. Invece andare sul campo, essere gli occhi di chi lì non potrebbe andare, dare voce a chi non ha voce non è solo, ancora e oggi ancor di più, un dovere del giornalismo ma è anche una necessità per uscire dall’informazione fotocopia, quella che il pubblico non riesce a sopportare più. Per questo vent’anni dopo, ripensando alla tragica notizia della morte di Maria Grazia Cutuli non possiamo che ricordarne l’ossessione come uno sprone e un valore da custodire se vogliamo dare un futuro al giornalismo e offrire un contributo alla costruzione di un mondo dove ad essere rappresentate non siano solo le voci dei potenti e di quelli a noi più vicini, ma le voci di tutti.


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