Giampiero Galeazzi, scomparso oggi all’età di settantacinque anni, era un personaggio singolare fin dal soprannome: “Bisteccone”, per via della sua mole e della sua indubbia presenza scenica. Grande amante e praticante del canottaggio a ottimi livelli, deve molto della sua notorietà alle interviste a bordo campo e negli spogliatoi negli anni Ottanta, quando l’Italia era la “Mecca del calcio” e ai suoi microfoni si presentavano i più grandi campioni dell’epoca, tutti animati da una profonda passione per lo sport e da un’umanità che i divi attuali non si sognano nemmeno. Memorabili le interviste di Galeazzi con Maradona e con l’Avvocato Agnelli, memorabili i suoi rapporti don tutti i protagonisti dello sport di quella stagione irripetibile, memorabile la sua conduzione di 90° minuto, degno erede di Barendson, e memorabili le sue telecronache del canottaggio, quando accompagnava i campioni azzurri come se stesse remando al loro fianco. Tuttavia, è bene non perdersi troppo in elogi, anche perché “Bisteccone” non li avrebbe graditi, per via del suo carattere rustico e ruspante, più incline alla battuta che al soffietto, sempre in grado di ironizzare, anche sulla sua malattia, e straordinario nel lottare fino alla fine contro l’imbarbarimento di un mondo che non sentiva più suo da tempo.
Galeazzi è stato uno dei figli migliori di un’epoca ancora umana, in cui si poteva essere grandi senza essere superbi, profondi senza scadere nel velleitarismo, popolari senza diventare populisti, curiosi senza l’invadenza degli assatanati attuali. “Bisteccone” era figlio di un’altra epoca, di unaltra idea del servizio pubblico, di una visione alta e nobile del nostro stare insieme. Era il giornalista con cui Maradona si confidava e si sfogava, al pari di Minà e Bartoletti, ed era colui che prendeva quasi sottobraccio i fenomeni riconducendoli alla dimensione naturale di ragazzi, quando ancora le partite duravano novanta minuti e le polemiche, immancabili nel nostro Paese, raramente sfociavano nella volgarità e nell’insulto.
Galeazzi è stato il punto di riferimento di molti, il mito di noi bambini che avevamo ancora a disposizione le partite la domenica pomeriggio, almeno in gran parte, prima degli spezzatini, del dilagare delle televisioni a pagamento e dello strapotere del business sul gioco. Ecco, una cosa è certa: “Bisteccone” si sarebbe rifiutato di inseguire a bordo campo certi divetti malmostosi che mettono il broncio quando li si critica in seguito a una prestazione fortemente negativa e avrebbe avuto poco a che spartire con i presidenti che considerano il calcio unicamente un investimento, magari per far breccia su un mercato a loro favorevole. Il suo calcio era quello dei Rozzi e degli Anconetani, dei Viola e dei Boniperti, un calcio fatto ancora di uomini e non solo di celebrità perenemmente a caccia di un nuovo ingaggio faraonico, più scatenate in discoteca che sul campo. E poi la sua RAI, che ci manca così tanto, bella e semplice come oggi purtroppo non riesce più a essere.
Ciao “Bisteccone”, simbolo dei rimpianti per tutto ciò che abbiamo perso. È difficile dirti addio senza far scendere una lacrima.
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