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Il segreto di San Donato Val di Comino, la Riace degli Anni 40 che salvò numerosi ebrei falsificando i documenti

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Esiste un piccolo centro nel cuore dell’Appennino centrale che conserva un segreto, una storia di accoglienza, solidarietà, pietas e battaglia ideale messi insieme. Dentro una stanza di pochi metri quadrati sono stati salvati molti ebrei altrimenti destinati ai campi di sterminio e alla morte. Non furono nascosti solo fisicamente, fu cambiata la loro identità, in modo sistematico, modificando i loro documenti di identità. Questo luogo è l’ufficio anagrafe di San Donato Val di Comino e sta per diventare la sede del Museo del Novecento e della Shoah grazie all’impegno del Comune e di un gruppo di giovani del posto che intendono far conoscere al resto del mondo una storia per molti aspetti rimasta chiusa nello scrigno di quel piccolo borgo per ottant’anni, quasi a conservare per sempre lo spirito di allora, la necessità di tenere nascoste le identità di uomini, donne, bambini perché si salvassero allora dall’orrore della guerra e per sempre nel futuro. San Donato conta duemila residenti oggi, cinquemila negli anni delle persecuzioni razziali; si trova a ridosso delle montagne abruzzesi ma è ancora in Ciociaria, a tre passi dalla linea Gustav dove tutto, alla fine, fu distrutto. E dopo chi è rimasto vivo ha lasciato quei posti per emigrare un po’ ovunque in Europa, perché la Ciociaria dopo la guerra non aveva più nulla. Poche settimane fa un evento, in fondo, naturale, la morte di un’anziana signora del paese, una delle più vecchie, ha riportato sotto i riflettori quella incredibile storia di solidarietà. Il 25 ottobre scorso è deceduta, a 99 anni, Pasqualina Perrella, ultima testimone diretta di ciò che avvenne nell’ufficio anagrafe di San Donato nel 1944. Era una delle “ragazze dell’anagrafe”, aveva 22, e fu tra gli impiegati che, con la complice distrazione di un podestà “non del tutto allineato”, falsificò i documenti di molti ebrei che erano internati nel paese durante l’occupazione tedesca. Ma non è tutto: l’intero paese aiutò, in qualche modo, gli ebrei ma anche gli ex prigionieri  “alleati” e si è calcolato che circa 110 famiglie del paese coprirono i rifugiati e lo fecero col pochissimo che avevano, cereali, lane fatte a mano, ortaggi, nascondigli e, soprattutto, falsificando i dati anagrafici con un cambio del nome originale in un altro italiano e l’artefazione del luogo di nascita e/o provenienza. Il podestà, Gaetano Marini, non poteva non sapere. Il Comune era un palazzetto minuscolo dove tutti vedevano tutto. Dunque fu un fenomeno collettivo, la scelta precisa di un’intera comunità di aiutare gli ebrei, incluso, inutile negarlo, il podestà. La popolazione nel suo complesso, nel frattempo conservò anche un rapporto, tutto sommato, buono con i tedeschi e ciò consentì loro di ingannarli meglio.
“Marini – dice il sindaco del paese, Enrico Pittiglio – lasciò creare i documenti e li firmò. L’operazione venne portata avanti da tutto il personale dell’anagrafe. Ossia: Carmela Cardarelli, Rosaria De Rubeis, Maddalena Mazzola, Pasqualina Perrella e Donato Coletti. Questi impiegati distruggevano dapprima il documento di identità originale degli internati e poi ne preparavano uno nuovo, con generalità italiane e dati alterati”. Una vera e propria macchina messa in piedi per coprire la presenza degli ebrei e farli sopravvivere, annullarli per salvarli.
Il 6 aprile del 1944, quando tutto stava precipitando in quella zona del cassinate, due delle ragazze dell’Anagrafe furono scoperte dai tedeschi. Una di loro fu prelevata dalla sua abitazione e condotta al locale comando. Lì fu interrogata con metodi spicci e riconosciuta come una delle autrici delle falsificazioni. La punizione poteva essere il suo invio ad Auschwitz, insieme agli ebrei che fino a quel momento aveva salvato. Ma non accadde, per fortuna di quella ragazza, perché nel frattempo nella zona intervennero altre priorità ed emergenze. Pasqualina si salvò ed è vissuta fino alla soglia dei cento anni, a ottobre del 2021. Di lei restano molte cose: la sua biografia e uno dei documenti d’identità falsificato tra i più toccanti. Riguarda il cartellino anagrafico di un bambino, Italo Raffaello Levi registrato dalle “ragazze dell’anagrafe” di San Donato Val di Comino come “scolaro”, nonostante le leggi razziali in vigore non lo permettessero. La storia di Pasqualina e delle sue colleghe è stata studiata dal Museo dell’Olocausto di Washington ma non ha mai avuto l’eco che forse meritava in Italia, se si fa eccezione per alcuni servizi fatti 60 anni dopo e la narrazione della storia di Pasqualina all’indomani della sua morte. Quel che rende San Donato un luogo storico molto speciale è non solo la solida unità d’intenti di quell’ufficio nella falsificazione seriale dei documenti d’identità, ma il fatto che la “protezione” non riguardò solo gli ebrei bensì anche molti altri sfollati della guerra, soprattutto donne aiutate da altre donne residenti nel paese. Una Riace degli Anni Quaranta dentro una terra difficile, povera, piena di problemi qual era (ed è ) la Ciociaria; ma generosa, comprensiva, inclusiva come forse solo i veri poveri sanno essere con gli altri poveri perseguitati.
(Nella foto il cartellino d’identità, contraffatto, di Italo Raffaello Levi “scolaro”. File gentilmente concesso dal Comune di San Donato Val di Comino)


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