Il giornalista che per primo in Italia è stato messo sotto tutela personale perché minacciato da gruppi neofascisti è di nuovo nel mirino per il suo libro ultimo libro “E’ gradita la camicia nera. Verona la città laboratorio dell’estrema destra tra l’Italia e l’Europa” (Rizzoli). Proprio a Verona nessuna sala pubblica né privata si è resa disponibile ad ospitare la presentazione di questo libro, Inspiegabile? Forse no. Abbiamo provato a capire parlandone con l’autore, che da anni indaga sul ritorno, pressoché indisturbato, dell’estrema destra.
L’ostilità di Verona (una parte della città) al libro non può essere legata solo all’odio dei fascisti verso alcune verità scomode. C’è dell’altro? Cosa?
A Verona c’è una larga zona grigia che si tiene in pancia la zona nera: la tollera, la protegge. O comunque non prende le distanze. C’è un “rito veronese” che unisce in un solo corpo estrema destra, destra istituzionale-sovranista e il mondo ultracattolico, oscurantista, reazionario, omofobo e ferocemente antiabortista. La saldatura di questi tre pezzi schiaccia nell’angolo la Verona democratica e progressista che si batte per la tutela dei diritti di tutti, la Verona aperta e solidale dell’accoglienza, del volontariato, della cooperazione. Formalmente l’estrema destra è una minoranza, è vero. Ma nel laboratorio-Verona – grazie a sponde e complicità con il Palazzo e grazie a una accettazione diffusa – gioca da protagonista e assurge a maggioranza. Credo che “È gradita la camicia nera” faccia paura perché racconta i rapporti tra neofascismo e potere politico in una città famosa nel mondo per essere la “città dell’amore”. Dietro la paura di ospitare la presentazione del libro forse ci sono anche motivi, diciamo, di opportunità: gestori di teatri, cinema e sale pubbliche si interfacciano con l’amministrazione. Se ospiti un libro scomodo per l’amministrazione non fai un buon servizio all’amministrazione. Chiaro, no? Ma sono sicuro che alla fine la Verona aperta e democratica prevarrà sulla Verona nera e la presentazione del libro sarà una risposta ferma a chi vuole silenziare il dibattito sul tema del neofascismo.
Autorevoli commentatori e colleghi giornalisti tendono a minimizzare lo spettro del neofascismo, che idea ti sei fatto? Perché?
Li chiamo i sottovalutatori di professione. A volte lo fanno per miopia, a volte per ignoranza – nel senso che del neofascismo sanno poco e non sembrano interessati a studiarlo e analizzarlo -, a volte perché non si rendono conto che minimizzando e sottovalutando fanno un grande favore ai fascisti. La cui prima regola è: i fascisti non esistono. Oggi se minimizzi e banalizzi diventi complice. Alcuni continuano a farlo anche dopo l’assalto alla sede della Cgil. Siamo ormai nella sfera del surreale. Per anni mi hanno detto che ero pazzo e che i fascisti non esistevano più. Il 9 ottobre qualcuno si è accorto che i fascisti esistono e, pensa un po’, che sono persino squadristi e eversivi… L’indifferenza e il silenzio sono i migliori complici dei fascisti del terzo millennio.
Sei già intervenuto sul corteo di Novara ma forse merita ancora qualche altra considerazione non credi?
Definire i manifestanti che hanno dato vita a quell’infame corteo mascherato degli ignoranti e degli imbecilli non basta: così alleggerisci le loro responsabilità, che sono gravi. Si tratta di criminali ideologici, perché per un po’ di visibilità hanno calpestato e sfregiato la memoria di milioni di persone e dei loro familiari. Il sonno della ragione e l’indifferenza generano mostri. Questi mostri li dobbiamo guardare negli occhi, combattere e sconfiggere.
Ci siamo “abituati” anche ad avere giornalisti sotto scorta perché minacciati dai fascisti, i quali non potrebbero agire impunemente secondo la nostra Costituzione. Che cosa non si è capito?
I fascisti negli ultimi anni, dopo essere stati sdoganati da una parte della politica, hanno rialzato la testa. Prima solo la mafia minacciava i giornalisti scomodi, adesso lo fanno anche i fascisti. Con le stesse modalità. Un giornalista sotto scorta è una sconfitta della democrazia, di cui l’informazione è pietra angolare. L’attenzione per la sicurezza dei giornalisti negli ultimi anni è calata. E questi gruppi ne approfittano, guarda anche le piazze No Green Pass. Se lasci che la libera informazione sia nel mirino lasci che venga attaccata la democrazia. In una fascia dell’opinione pubblica, grazie anche agli input e agli attacchi di alcuni politici di primo piano – so cosa vuole dire, l’ho provato – sta passando il messaggio che il problema sono i giornalisti e non le notizie e i fatti che portiamo a galla per garantire un servizio essenziale al cittadino.
Quando, secondo te, arriverà una legge di tutela dei giornalisti? E perché non viene considerato un problema collettivo?
Va riposizionato l’asse con urgenza. Il tema da mettere al centro è sempre la difesa dell’informazione, e dunque della democrazia, e dei valori della Costituzione antifascista e antirazzista. A parte poche e lodevoli eccezioni, l’attuale classe politica e dirigente sul tema della tutela dei giornalisti ha una sensibilità e una considerazione depotenziate. Le democrazie che non difendono l’informazione sono democrazie indebolite che, sulla carta, un giorno potrebbero diventare democrature. E nelle democrature sappiamo bene che fine fa l’informazione.