Cento anni dalla sepoltura del Milite ignoto, dalla celebrazione nazionale che ci riempì d’orgoglio un secolo fa, alla vigilia del fascismo, nell’anno in cui la sinistra si era suicidata con la scissione del Partito Socislista, da cui era nato il PCd’I, e ormai le squadracce imperversavano per la Penisola. Fu l’ultimo momento di gloria di un notabilato liberale ormai ridotto l’irrilevanza, di una politica del passato che si affidò allo spirito identitario nel vano tentativo di nascondere le pecche di un sistema non più in grado di far fronte alle emergenze di un Paese sull’orlo del baratro.
I Giolitti, i Facta, gli Orlando: tutte figure ormai superate, sbiadite, lontane dal cuore di un popolo bisognoso di speranza ma in realtà disperato, dunque naturalmente portato ad affidarsi all’uomo forte, al salvatore della Patria, al risolutore di tutti i problemi. Ed è incredibile come non ci si sia resi conto, all’epoca, del pericolo che stavamo correndo, della follia cui stavamo andando incontro ad ampie falcate. È incredibile che sembrasse tutto così normale, così naturale, così tranquillo, che nessuno si fosse accorto della fine di un’era. Diciamo che il Milite ignoto, l’Altare della Patria, la ricorrenza del 4 novembre e la passione popolare che accompagnò il viaggio del feretro del soldato da Aquileia a Roma furono gli ultimi squilli di una stagione giunta al capolinea. Quella cerimonia solenne era figlia di un mondo al crepuscolo, di un’Italia e di un’Europa che non esistevano più, di un ireedentismo figlio del Risorgimento che sarebbe stato soppiantato, di lì a poco, dallo squallido nazionalismo fascista.
Ricordare il Milite ignoto, a un secolo di distanza, è prrtanto doveroso, così come studiare fino in fondo la nostra storia, le sue illusioni e le sue tragedie. Vorremmo, tuttavia, che si evitasse una certa retorica, assai pericolosa, relativa al mito di quest’avvenimento. Diciamo che di epica gliene è stata attribuita anche troppa: prima, durante e, purtroppo, pure dopo. In pieno regime fascista, per avere un punto di riferimento, una sorta di mito fondativo, dovuto anche alla collocazione topografica del monumento; poi, per una legittima volontà commemorativa che, però, per non risultare stucchevole, deve tener conto di quanto dolore abbia portato con sé la Prima guerra mondiale e di quali atroci conseguenze abbia avuto per il Paese.
Cent’anni dopo, nel rendere il doveroso omaggio al sacrificio dei nostri caduti, i tempi sono maturi per compiere un’analisi storica che vada al di là della propaganda e ci restituisca, invece, un quadro d’insieme in cui l’eroismo sia affrancato da un certo piglio militaresco che purtroppo sta tornando a farsi strada. Lo dobbiamo proprio a quei ragazzi, morti un secolo fa, a soli vent’anni, nel corso di quella che papa Benedetto XV aveva definito un'”inutile strage”, come sono da sempre e per sempre tutte le guerre. Per non dimenticare.
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