Da qualche anno a questa parte, il liceo artistico statale torinese “Renato Cottini” ha ritenuto che uno dei modi per affrontare il problema del secolare deficit civico di questo Paese fosse quello di invitare la comunità scolastica a una riflessione non epidermica sulla questione mafie. Problema negato per decenni, prima al Sud, e poi allontanato con una certa sdegnata protervia dagli amministratori locali del Settentrione, quello del progressivo irradiarsi della criminalità organizzata dentro e fuori i confini nazionali appare un fenomeno così tanto evidente e pervasivo da non poter essere ulteriormente ricacciato nella mitologia o nel folklore. Così tanto pervasivo e invadente da richiedere una costante e vigile attenzione da parte di tutta la società civile, all’interno della quale le istituzioni scolastiche giocano un ruolo centrale; o, almeno, dovrebbero farlo.
Per tale ragione, consapevoli che le sponde offerte alle cosche mafiose dalla cosiddetta “zona grigia” (pubblici amministratori, professionisti, imprenditori, maestranze ecc.) contribuiscono ad alterare in maniera pericolosamente irreversibile la tenuta democratica del Paese, si è deciso di allestire un “progetto antimafia” all’interno del liceo. L’impegno del Dirigente scolastico, l’architetto Antonio Balestra, unitamente allo sforzo di alcuni docenti, ha portato, negli anni, a elaborare una serie di iniziative volte a far uscire dal silenzio le vicende che hanno insanguinato e feriscono tuttora le realtà regionali e la nazione tutta. A partire dalla spinosa, delicatissima questione della “trattativa Stato-mafia”. È in tal senso che, due anni e mezzo fa, il liceo ha stretto un accordo con la sezione torinese “Paolo Borsellino” del Movimento delle Agende rosse, accogliendo la prospettiva dalla quale parte lo sforzo e l’impegno civico di tale movimento.
Tale accordo stabilisce che le Agende rosse torinesi diventino presidio permanente dell’istituto e definisce alcune linee programmatiche comuni, a partire dalla possibilità di avvicinare i discenti al mondo del volontariato, dalla creazione di una biblioteca tematica che incrementi i volumi dedicati alla questione mafiosa, sino a una duplice linea di intervento nella scuola. Da un lato, si è ritenuto necessario intervenire sul processo didattico attraverso una serie di incontri degli studenti con alcuni protagonisti della lotta alla mafia o, più semplicemente, con dei testimoni della violenza mafiosa: da Salvatore Borsellino a Paola Caccia, da Gianluca Manca, fratello di Attilio, a Giuseppe Costanza, da un colonnello della Dia torinese a Salvatore Renna, giovane artista autore di una graphic novel sul giudice Rosario Livatino.
Quest’anno, all’interno di un ciclo di incontri dal titolo “testimonianze”, gli studenti del liceo dovrebbero poter colloquiare con lo stesso Borsellino (il 24 novembre), con Stefano Mormile e con Luciano Traina.
Accanto al percorso con i discenti, si è ritenuto necessario promuovere un percorso formativo pure per gli insegnanti. Due anni fa, un primo ciclo di relatori – tra i quali Piercamillo Davigo, Manuela Mareso, Don Ciotti, l’avvocato Repici – fu bloccato dall’insorgere della pandemia dopo la prima lezione. Quest’anno, il Cottini intende riprovarci, rivolgendo il corso di formazione agli insegnanti piemontesi di ogni ordine e grado. A partire dal 2 dicembre, prenderà il via un percorso che vedrà quale primo relatore il prof. Rocco Sciarrone dell’Università di Torino: compito dell’accademico sarà quello di ragionare con i docenti sulla questione tutt’altro che nota e acquisita dell’espansione delle “mafie del Nord”, titolo di un suo importante lavoro sociologico, nel quale elabora un’analisi pregnante di quel meccanismo espansivo. Pur senza minimizzare la portata delle pressioni mafiose sulle regioni settentrionali, il prof. Sciarrone indirizza la sua attenzione sulla “zona grigia” e sui fattori di contesto che avrebbero reso possibile la lenta, graduale e sempre più incisiva presenza delle cosche criminali in Piemonte come in Lombardia, in Veneto come in Liguria. Questo sarà il focus del suo intervento, ribadito di recente in un incontro di “Biennale democrazia” a Torino al quale ha partecipato accanto al magistrato Roberto Maria Sparagna per fare un consuntivo dei dieci anni delle mafie in Piemonte a partire dal processo Minotauro (2011). A tale prospettiva, a questo pressante richiamo alla necessità di un’analisi sempre più attenta e robusta delle sponde offerte dalla società civile ai boss, guarda con interesse il liceo, convinto che separare con un facile manicheismo i buoni dai cattivi sia del tutto fuorviante per cogliere i nodi più complessi dell’aggrovigliato sistema criminale che caratterizza la nostra penisola.
Sempre in quest’ottica, ossia con un’attenzione alla questione dei contorni non facili da delineare trattando delle vicende criminali nazionali, si muoverà l’intervento del secondo relatore (22 gennaio 2022), l’avvocato Fabio Repici, noto agli addetti ai lavori per essere il difensore di molte famiglie vittime di mafia, da quella Borsellino a quella Caccia, da quella Mormile a quella Manca. In particolare, indagando lo strano “suicidio” dello sfortunato urologo siciliano, appunto Attilio Manca, l’avvocato Repici proverà a spiegare ai docenti piemontesi la questione dei depistaggi, delle manovre torbide e cupe dietro ad alcune morti, quella zona indicibile in cui paiono avvertirsi le mani e le menti di qualcuno che opera al di fuori delle mafie e che con esse stabilisce legami di complicità aberranti per uno Stato che voglia dirsi democratico: servizi segreti deviati, eversione nera, massoneria ecc.
Terza ospite del liceo sarà Stefania Limiti (4 marzo 2022), giornalista e scrittrice, attenta anche lei al problema delle relazioni pericolose tra Stato e mafie. In quella sede, la giornalista si preoccuperà di ragionare con il pubblico sulla genesi delle mafie in Italia, sulle peculiari condizioni che hanno portato, già a cavallo tra storia pre-unitaria e storia del nascente Regno d’Italia, le organizzazioni criminali a detenere un crescente ruolo da protagoniste nel Paese, attraverso un imbarazzante rapporto collusivo con alcuni poteri forti dell’allora Stato liberale.
Ultimo incontro (in aprile, la data è ancora da definire) vedrà quale relatore il già citato magistrato Roberto Sparagna, il cui intervento cercherà di fornire un ragguaglio sulla situazione attuale del fenomeno mafioso in Italia, sulla complessità della presenza criminale, nonché sul problema della “zona grigia”. Proprio nel richiamato incontro alla “Biennale democrazia”, Sparagna aveva osservato come al tempo del processo Minotauro fosse emerso con evidenza il legame tra esponenti della ‘ndrangheta e amministratori locali, in un perverso gioco di scambio tra chi necessitava di un bacino di consenso elettorale e chi, invece, premeva per l’accesso preferenziale agli appalti pubblici.
Appare evidente come l’impostazione generale del corso per i docenti, i singoli relatori, oltre il già richiamato accordo con le Agende rosse, definiscano la prospettiva dalla quale parte il liceo torinese nel declinare il tema delle mafie in Italia: non solo mafie, in sostanza, tanto che il corso si intitola “Mafie e dintorni”, dove i dintorni devono proprio intendersi come quegli spazi di connivenza e aperta correità di chi, pur non essendo mafioso, apre le porte alle cosche, per opportunismo, indifferenza, apatia, paura, ignoranza.
Per quanto la recente sentenza della Corte d’Assise di Palermo abbia affossato l’impalcatura giudiziaria di Nino Di Matteo e degli altri magistrati palermitani, ritenendo che la trattativa fosse, di fatto, solo “cosa loro”, dei mafiosi, all’interno del liceo Cottini si pensa invece che la narrazione dominante, quella che piace anche a esimi intellettuali come Salvatore Lupo, che vuole la mafia sia la sola “cattiva” della nostra storia nazionale e, peraltro, in crescente difficoltà, non possa essere accolta che con molta perplessità. Per tale motivo, si ritiene importante continuare a lavorare con tutti gli attori sociali della scuola in un’ottica che non dimentichi nessun dettaglio del quadro criminale di questo Paese.
Non per sentirsi parte di quell’antimafia “forcaiola” a cui il prof. Lupo riserva parole non benevole, ma per evitare di cadere dalla parte opposta, quella di una miopia analitica che funga da assoluzione generale per incrostazione della ragione davanti al consolatorio racconto della mafia cattiva contro la quale lottano solo ed esclusivamente tanti fedeli servitori dello Stato. Che fedeli servitori dello Stato abbiano pagato con la vita quella fedeltà, è indubbio; altrettanto vero è che quella fedeltà non rappresenta affatto il marchio distintivo degli uomini che hanno indossato i panni pubblici della politica o dell’amministrazione, né quelli dei privati cittadini che avrebbero dovuto orientarsi verso la difesa dei presupposti basilari del nostro dettato costituzionale e che hanno optato, invece, per altre strade, vicine, molto vicine a interessi lesivi della nostra democrazia.