Gian Carlo Caselli. Quando l’informazione minacciata trova protezione nella Costituzione italiana

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Caselli: «La linea maestra lungo la quale muoversi – senza retorica – è la Costituzione che impone di fare con coraggio e con coerenza scelte anche scomode, ma utili a tutti. Anche a chi non le condivide»

Aumentano i casi di intolleranza e di violenza nel mondo e in particolar modo aumentano quelli rivolti ai giornalisti. Spesso insultati, aggrediti e minacciati, i giornalisti sono il nuovo capro espiatorio per una fetta della società civile. Attacco che prende di mira anche i volti più noti della televisione. Campagne denigratorie anonime e diffide politiche tentano di intimidire azioni redazionali e linee editoriali. L’informazione, dunque, è oggi nel mirino di gruppi che si muovono per una lotta contro quello che definiscono il pensiero unico dominante e che allo stesso e a loro volta impongono a difesa della democrazia e per contrastare quella che definiscono «una dittatura sanitaria». Abbiamo chiesto al magistrato Gian Carlo Caselli una riflessione su quanto sta accadendo.

Coloro che contestano il “green pass” sostengono di non credere più ai giornalisti e ai medici, categorie accusate di dar voce o peggio prestare il fianco alla politica e favorire la «dittatura sanitaria». Cosa ne pensa?
«Chi protesta e sostiene le tesi “no vax” e “no green pass” sembra, a dispetto delle sue illusioni, sostanzialmente incapace di analisi approfondite e insofferente a ogni valutazione realistica dei dati di fatto, ancorché offerta da ineccepibili ricerche scientifiche. Dunque, finisce per essere condizionato da una mescolanza di radicalismo verbale e nullismo pratico che oscura la realtà e porta ad accusare persino medici e giornalisti. Per non parlare di coloro che propagandano le proprie convinzioni soggettive “no vax”, accampando argomenti, si fa per dire, quali la dittatura, il genocidio, la shoah, il nazismo e le SS come acronimo di “Siero Sperimentale”. Magari, con il sostegno di personaggi eccellenti che, intervenendo nel dibattito, non sembrano rendersi contro di giocare col fuoco. Ad alimentare questo fuoco ci pensano già – e bastano – le frange estremiste dei movimenti riconducibili alla destra eversiva e a quei mondi che si definiscono anarchici».

L’informazione è sotto attacco malgrado continui lavorare, operare, indagare (vedi Report, Presa Diretta, Indovina chi viene a cena, per citare solo tre programmi di approfondimento e d’inchiesta del servizio pubblico Rai) e a mantenere alta l’attenzione, smascherando spesso il malaffare, le criticità e facendo emergere anche temi cari a chi oggi scende in piazza. È solo un capro espiatorio?
«E’ un vizio antico del nostro Paese, quantomeno di alcuni settori di esso: preoccuparsi non tanto del male o del marcio che può esservi, quanto piuttosto di chi osa denunziarlo. A qualcuno il silenzio piace, e nell’informazione come nell’amministrazione della giustizia il parametro di valutazione non sempre è quello della correttezza e del rigore, ma piuttosto quello dell’utilità per sé o per la propria cordata».

L’attacco rivolto ai danni dei giornalisti attraverso aggressioni fisiche e insulti sembra non aver ottenuto un’adeguata attenzione da parte delle autorità competenti e delle istituzioni. Gli aggressori, dunque, spesso possono agire indisturbati. Che succede?
«Premesso che ovviamente si può sempre fare meglio e di più, osservo che sul piano della prevenzione le autorità competenti intervengono più che altro per contenere dall’esterno le manifestazioni. Un controllo capillare all’interno capace   di prevenire e contrastare qualunque attacco ai giornalisti è molto meno praticabile. Sul piano della repressione investigativo-giudiziaria l’attacco ai giornalisti quasi sempre consiste in violazioni di legge perseguibili a querela.  Va da sé che le autorità competenti devono rispondere ad ogni richiesta di aiuto. Tuttavia, le condizioni in cui esse operano mentre sono in corso le manifestazioni in  piazza, sono obiettivamente difficili».

Come riusciremo a uscire oggi da questa impasse sociale, economica e culturale?
«Chi nella lotta al Covid vede non un problema da risolvere (e da risolvere tutti insieme!) ma un’opportunità da sfruttare ai propri fini di fazione politica, sbaglia gravemente.  La linea maestra lungo la quale muoversi è – senza retorica – la Costituzione che, anche in tema di sanità, tutela l’interesse generale e non l’interesse di questo o di quello, a scapito degli altri. Vale a dire che la Costituzione impone di fare – con coraggio e con coerenza – le scelte anche scomode che sono utili a tutti, anche a chi non le condivide».


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