La “fame” di spettacolo dal vivo e la gioia del ritorno al pubblico vengono celebrate dalla Compagnia all’inizio delle spettacolo con il “Can Can” di Offenbach in un’esplosione di movimento e urla di gioia, al grido: “We come back!”.
Questo è l’inizio di Clowns, produzione storica di Shechter, già allestita nel 2016 per il Nederland Dance Theater, da cui la BBC ha prodotto e trasmesso un film con grande successo.
Hofesch Shechter, israeliano, è nato a Gerusalemme; ha ballato per Ohad Naharin alla Batsheva Dance Company di Tel Aviv, dove ha costruito la formazione come danzatore e coreografo. Cresce a Parigi dove studia percussioni e batteria, quindi approda in Inghilterra intorno al Duemila: lì conquista il pubblico e trova sede per la sua Compagnia a Brighton.
La caratteristica che rende Shechter unico nel panorama della danza è spiegata con il suo doppio ruolo, di coreografo e compositore. Crea le sue musiche spesso in collaborazione con altri artisti. Nel caso di Clowns è accompagnato per la composizione di “The Sun”, dal giapponese Shin Joong Hyun, brano interpretato da Kim Jung.
La composizione sottolinea tutta l’opera descrivendo dettagliatamente la coreografia in un crescendo e diminuendo di tensione. Le note creano un “tappeto sonoro” che cresce e si ripete, con degli incisi ritmico-percussivi che costruiscono un vortice denso di momenti dinamici e pause.
Il gioco spettacolare è allestito con il consueto humor noir e oscilla tra ostentata finzione e violenta esplosione di istinti tribali, crudi, inaspettati, a lungo trattenuti e poi agiti improvvisamente: una macabra commedia di pulsioni ancestrali.
Il clown-burattino, ben rappresentato dai costumi e dai movimenti manierati, si trasforma in una creatura primitiva e violenta. E’ un “tutti contro tutti”, senza regole, né distinzioni, solo puro istinto, uno spaccato del nostro tempo, drammatico e reale.
Si uccide, una, dieci, mille volte, chiunque, con spada, coltello, pistola, a mani nude e dopo un secondo si balla insieme una danza di gruppo – citazioni delle danze popolari israeliane – o si posa per la foto di famiglia, come a Natale o ad un matrimonio, cortesi, sorridenti, in un girotondo che si ripete all’infinito.
La Compagnia composta da dieci elementi, eccellente dal punto di vista tecnico, esprime con grande energia e forza un movimento fluido, armonico e lo alterna a composizioni di gruppo perfette, dettate da ritmi stringenti e via via più tribali, accompagnati da un piano luci che merita una lode e un plauso per la precisione con cui sostiene la performance e la amplifica, grazie anche ad una sottile nebbia diffusa che accompagna i momenti più onirici dello spettacolo.
Il secondo brano, “The Fix”, sembra essere una “coccola” che Shechter dedica al pubblico per lenire le ferite aperte da “The Clowns”.
I sette danzatori si muovono come in uno sciame che si apre, si chiude e si sposta, nella ricerca di contatto fluido, delicato, accogliente: una necessità urgente di toccarsi, accarezzarsi, abbracciarsi di nuovo, tenersi stretti, accogliere il dolore, l’incertezza.
Un ritorno all’infanzia, alla fragilità dell’uomo e alle sue innate paure, una profonda solitudine colmata solo dalla presenza dell’altro, dal corpo, dalla pelle, da un contatto intimo e consolatorio, come solo un vero abbraccio può essere. Hofesh Shechter si congeda con la speranza di un ritorno, all’essenza della dolcezza, all’empatia, unico antidoto all’aridità del presente inumano.