BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

I “Tre piani” di durezza di un Nanni Moretti sovraesposto

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Il fascino delle case spiate in interni ed esterni, fertile omaggio al voyerismo intellettuale e artistico di grandi scrittori (Pirandello “La finestra di fronte”), celebri registi cinematografici (Hitchcock “La finestra sul cortile”), solo per citarne alcuni, ha solleticato anche Nanni – ex Michele Apicella – da “Io sono un autarchico” (1976), per la prima volta impegnato in un soggetto non suo, sulla scia di un malessere senza sconti che ha inciso sensibilmente la sua originale e fertile filmografia. La suddetta scia fu annunciata dal tragico silenzio de “La stanza del figlio” (2001), passando dall’agghiacciante “Il caimano”, allo smarrimento prezioso di “Habemus papam”(2011) fino all’algido lutto di “Mia madre”(2015), opere ben lontane dall’ironia e dal sarcasmo del primo Moretti, emblema di un’irritazione mordace e caustica che i nostalgici invocano, condannando alla lapidazione questa sua ultima opera. Lapidario infatti, finanche impudico, nello svelamento delle vite infelici di quattro famiglie (piano terra, primo, secondo, terzo piano di un piccolo, signorile condominio della Roma borghese medio-alta), questo “Tre piani”, soggetto non originale, tratto dal romanzo omonimo dello scrittore Eshkol Nevo, stravolto nell’ambientazione e nel finale, cosceneggiato, in odore di thriller e dramma psicologico, si svela emblematica rappresentazione del male di vivere, annunciandosi immediatamente con un brusco incipit dove vita e morte coesistono d’emblée. Sorretta da un ritmo a singhiozzo e da una tensione strisciante, la narrazione si apre. Due donne in strada. Una esce dal condominio trafelata. Cerca un passaggio. Sta per partorire. L’altra viene falciata da una macchina allo sbando, guidata da un giovane rampollo della Roma che conta, ubriaco.

Inizia il carosello di tre storie (la quarta funge da diramazione) che, parafrasando metaforicamente le tre istanze freudiane: Es, Io, Super-Io, si intrecciano nei tre piani:

Al terzo Andrea, figlio degenere di due giudici integerrimi, Vittorio e Dora, condannato per omicidio colposo, arrestato, sarà allontanato per sempre dal padre e si allontanerà a sua volta dalla madre, costretta a scegliere tra il figlio e il marito.

Al piano terra Lucio, un padre ossessionato dal dubbio che la sua figlioletta sia stata abusata dal vicino di un’anziana coppia, a cui la bambina veniva affidata spesso e volentieri dai genitori occupati. In assenza di prove, la moglie Sara inutilmente cercherà di calmarlo, fino alla rottura del loro rapporto.

Al piano di mezzo Monica, puerpera sola e depressa che parla al computer col marito sempre assente per lavoro. Soprannominata “La vedova”, ha una madre pazza, un figlio appena nato e un corvo nero in camera. Il figlio è vero, il corvo no, ma lei non lo sa.

Le loro vite si sfiorano, si incrociano, si districano, nella reciproca indifferenza, per disperdersi infine nelle strade del mondo, accompagnate dalla bella sequenza di tango illegal che chiude il carosello in un finale apparente, perché le storie invece continuano.

In questo microcosmo impietoso gli adulti fanno a gara a chi si comporta peggio, mentre i bambini sono splendidi, maturi fino all’inverosimile. Sono loro gli adulti. Anche le donne in qualche modo se la cavano meglio degli uomini, abbastanza inutili, quando non dannosi.

In vetta per improbabilità un paludato, severo Nanni Moretti fuori ruolo, ma proprio per questo con un suo fascino sottile, negli scomodi panni di Vittorio, padre del degenere Andrea e marito di Dora, l’infelice madre, debole e succube del marito, una Margherita Buy colta in un misurato smarrimento che qui trova la sua naturale freschezza, mentre parla liberamente e finalmente al  marito morto/alias segreteria telefonica, evocando l’atmosfera dell’afghano “Pietra di pazienza” diAtiq Rahimi.

Segue a ruota, sempre per improbabilità, il costantemente ossessionato Lucio del monocorde Riccardo Scamarcio, ingrugnito persino mentre paradossalmente fa sesso con la deliziosa nipote minorenne del presunto pedofilo che sta perseguitando. Lucio sorriderà solo alla fine. Forse perché la figlia se ne va a studiare fuori? Troppe responsabilità per un genitore, specie se solo. Se ne andrà infatti anche Monica, la donna con corvo, una adeguatamente fragile Alba Rohrwacher, al secondo figlio, nonostante la riapparizione tardiva del marito.

Emergono da questo mosaico a cupe tinte voragini di solitudine, insieme a un disperato bisogno di comunicare. L’incomunicabilità rarefatta di Antonioni si muta nella rappresentazione esasperata di un concentrato di drammi familiari, trasconnessioni, incomprensioni, paure, che scorrono da un piano all’altro dell’elegante condominio. E’ un dubbio esistenziale? Un problema sociale? Un conflitto generazionale? Uno sguardo sulle classi abbienti mentre vivono le loro crisi sprofondati in costosi divani? Un “Parasite” monco del contraltare dei derelitti, accatastati nelle loro stamberghe? Di fatto, nelle loro belle, comode, agiate case, questi buoni altoborghesi non sanno essere buoni genitori, non sanno essere buoni vicini, non sanno essere buoni mariti, non sanno vivere le relazioni umane. Un grosso campanello d’allarme. Tanto benessere ha generato tanto malessere. Moretti aveva già trattato il problema,(pensiamo a “Caro diario”) ma evidentemente il grumo irrisolto diviene sempre più ostico. Lo sguardo si incupisce. Non c’è più voglia di ironizzarci sopra. Il suo “J’accuse” inaspettatamente però sembra stemperarsi in un compiacente, dolce-amaro lieto fine; un bisogno di speranza che può trasformare un ghigno in un sorriso, come si conviene a un racconto dove non tutti vissero felici e contenti.

Il film che scorre per ben due ore, solleticando con la sua tragicità corde nascoste, mostra un Moretti zelante, volutamente crudo e severo che spiazza e disorienta,  intento a scoprire ferite anche nel tessuto sociale, a tamponare il sangue che sgorga a fiotti. Non c’è più spazio per un sapido umorismo. Se l’obiettivo è evidenziare con asciutto rigore i mali che ci affliggono, il risultato è una tragicommedia italiana che comincia male e finisce benino, ma non troppo. Lo stile a cui il regista ci aveva abituato è definitivamente colato a picco?

Al di là dei pareri della critica, per lo più poco benevola (il film fa discutere) quest’ultima creatura morettiana può piacere, per quel saper raccontare senza fronzoli, per quel rovistare con la macchina da presa nel marciume delle relazioni umane, per poi di colpo cogliere il volto dei protagonisti mentre s’infiora del sorriso di un nostalgico ballo, sul duro pavimento che è la vita.

TRE PIANI

Film Drammatico

2021

Italia, Francia

Data di uscita al cinema: 23 settembre 2021 (Italia)

Regista: Nanni Moretti

Musiche: Franco Piersanti

Casa di produzione: Sacher Film, Fandango, Rai Cinema, Le Pacte

Distribuzione in italiano: 01 Distribution

Sceneggiatura: Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella

I “Tre piani” di durezza di un Nanni Moretti sovraesposto


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