Ieri pomeriggio, quando è cominciato il blocco di Wattsapp, Facebook e Instagram ho pensato che se fosse accaduto nei giorni immediatamente precedenti al voto forse qualche risultato sarebbe cambiato. Se una persona da anni in disparte dalla vita pubblica, pensionata e non attiva sui social nè nella professione, come sono io, ha tuttavia ricevuto valanghe di messaggi elettorali, posso immaginare cosa avviene su questi social per la stragrande maggioranza della popolazione. E mi è venuto anche uno strano dubbio: magari tanti accolgono questi messaggi, mettono i like, li diffondono, si accaniscono in discussioni spesso devastanti e alla fine…non vanno a votare!
Il dato purtroppo più preoccupante di questo primo turno amministrativo è infatti quello del’incredibile ridotto numero di votanti. Meno del 50 per cento nelle due maggiori città del paese, Roma e Milano, è il segno di un distacco dalla politica non spiegabile con motivazioni tradizionali, anche perché il dato politico del voto ci dice che, al contrario, si intravede un ritorno all’attenzione per i contenuti e per le persone da scegliere. L’astensionismo senza precedenti io credo sia frutto anche, e molto, del folle utilizzo dei social, della faciloneria con cui si pensa che mettendo un pollicino alzato su un post si cambiano le sorti del mondo, del continuo insultarsi anonimamente on line senza mai dirsi faccia a faccia come la si pensa, insomma dell’uso sbagliato, analfabeta, irresponsabile del digitale.
Venti anni fa, non nel secolo scorso, a Roma per la comunali votava l’80 per cento della cittadinanza, c’era internet, c’erano le mail, c’erano già tantissimi telefonini, ma non c’erano i social. E’ lì che bisogna andare a guardare: spiegare, soprattutto ai giovani, che la politica non è un brutto videogioco di tifoserie dai pollici giù e su. Il populismo sta spregiudicatamente usando tutto questo e in tutto il mondo. Se la politica vuole tornare ad essere forte, non ad essere commissariata, ha una sola strada da percorrere: tornare a parlare alle persone, ai gruppi, alla “gggente”, e lo scrivo proprio come lo scriveva chi attaccava il TG3 di venti anni fa. La politica vada a capire le ragioni degli operai che eroicamente da mesi stanno salvando, perché di questo si tratta, molte fabbriche italiane, vada in periferia non a fare i comizi, ma a fare squadra, a lavorare con le associazioni di strada, vada nei paesini a rianimare i piccoli circoli locali dove ci si può parlare, incontrare, discutere. Non si può ovviamente sottovalutare il tragico peso della pandemia su queste elezioni e su questi dati di affluenza. Regole, paura, tempi lunghi. Su quello si può fare poco. Ma il tentativo di invertire la rotta e non perdere nemmeno una occasione per riavvicinare le persone alla politica e ai contenuti dell’azione politica deve essere fatto subito, adesso, questa mattina, mentre parte la campagna per i ballottaggi. Fermare i neofascismi e gli estremismi populisti passa solo per questa strada.