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Anne Sexton e la forza della poesia

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Recentemente La nave di Teseo ha ripubblicato “Il libro della follia” di Anne Sexton, uscito nel 1972. L’attuale riedizione, curata da Rosaria Lo Russo e col testo inglese a fronte, è la prima traduzione integrale di The Book of Folly, oltre trenta poesie “confessionali”, cioè di carattere autobiografico, più tre racconti sperimentali. Per chi amasse avere un approccio più generale con la storia della Sexton e conoscere il nascere e lo svilupparsi del suo processo creativo, che in una manciata di anni le fece ottenere fama e premi letterari, la stessa casa editrice ha pubblicato nel 2018 il romanzo biografico di Irene Di Caccamo, “Dio nella macchina da scrivere”, già candidato al Premio Strega 2019. In una nota al libro Di Caccamo chiarisce che non si tratta di una biografia, ma di una “riscrittura” intima e libera dei giorni dell’autrice, in uno sconfinamento continuo tra realtà e immaginario. Il libro ci restituisce non tanto gli eventi con precise indicazioni cronologiche e spaziali, ma la voce che l’autrice ha cercato per prestarla a quello che definisce un “diario intimo”. Pur attingendo alla biografia ufficiale di Diane Wood Middlebrook “Anne Sexton.

Una vita”, a lettere, a dichiarazioni reali della Sexton, Di Caccamo ha cercato “una doppia voce che entrasse in connessione anche con il dolore, con l’autentico, con l’urgenza della parola, che in lei ( A. Sexton n.d.r.) è stata una forma di terapia, oltre la maschera di cui si è servita per essere nel mondo”. Anne Sexton era nata a Newton nel Massachusetts nel 1928, i genitori Ralph e Mary, facevano parte della middle class della città, erano entrambi alcolisti e avevano tre figlie di cui Anne era la minore. L’ambiente familiare non era dei più tranquilli e in seguito, dal percorso di analisi di Anne ,sarebbero emersi ricordi inquietanti su abusi che in modo diverso entrambe i genitori avrebbero commesso su di lei.

L’unica figura di riferimento per Anne era la prozia che viveva in famiglia, Anna Dingley, detta Nana, che però non poté starle vicino a lungo perché cominciò a soffrire di disturbi mentali e fu allontanata. A scuola Anne non si mostrò brillante e i genitori la iscrissero ad una scuola professionale, che non le fornì nessuna preparazione culturale. Cercò di sottrarsi a un ambiente in cui non si era mai sentita a suo agio con il più classico dei modi: conobbe Kayo Sexton, fuggì con lui a Boston e si sposò. Ebbero due figlie nel 1953 e nel 1955, Linda e Joyce, cui nel romanzo viene dato il nome di Margherita e Rosa. Nonostante una vita apparentemente perfetta cominciarono ad affacciarsi i primi squilibri mentali che la portarono a tentativi di suicidio nel 1956 e nel 1957. In una intervista rilasciata anni dopo Anne dichiarava “ Fino ai ventotto anni avevo una specie di sé sepolto che non sapeva di potersi occupare di qualunque cosa ma che passava il tempo a rimescolare besciamella e badare ai bambini. Non sapevo di avere alcuna profondità creativa. Ero una vittima del Sogno Americano, il sogno borghese della classe media.

Tutto quello che volevo era un pezzettino di vita, essere sposata, avere dei bambini. Pensavo che gli incubi, le visioni, i demoni, sarebbero scomparsi se io vi avessi messo abbastanza amore per scacciarli. Mi stavo dannando l’anima nel condurre una vita convenzionale, perché era quello per il quale ero stata educata, ed era quello che mio marito si aspettava da me. Questa vita di facciata andò in pezzi quando a ventotto anni ebbi un crollo psichico e tentai di uccidermi”.

Nel romanzo di Di Caccamo si snoda la vita intima della poeta nel lasso di tempo che va dal 1 aprile 1963 al 4 ottobre 1974, giorno della sua morte; il racconto è in prima persona e dopo alcuni flash back iniziali, scaturisce come un lungo flusso di coscienza in cui alcuni nomi sono inventati, gli eventi sono rispettati a volte agglutinati, immaginati nella ricerca di un’autenticità della protagonista che risulta convincente.

A trentacinque anni Anne è una donna bellissima, di un’eleganza sofisticata, come possiamo vedere dalle diverse foto, afflitta da un disturbo bipolare, così le è stato diagnosticato; per resistere si affida all’alcol, a una terapia psichiatrica con due o tre sedute a settimana di analisi, sonniferi, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e nella sua borsetta non mancano nemmeno farmaci più forti che chiama “pillole uccidimi” per i momenti più difficili. La sua vita cambia quando per caso assiste a una trasmissione televisiva in cui un professore insegna a scrivere sonetti. Qualcosa scatta in lei che non sa niente di poesia e comincia a scrivere con entusiasmo e disciplina, incoraggiata in questo dal suo psichiatra dott. O. (Martin T. Orne), che l’aiuta anche per una prima pubblicazione di alcune poesie su una rivista letteraria.

La sua vita cambia quando incoraggiata da un’amica che si rende disponibile ad accompagnarla (la sua instabilità emotiva le renderà necessario sempre più essere accompagnata e seguita da qualcuno, un’amica, una segretaria), comincia a frequentare un corso di poesia dove diventerà amica di Maxine Kumin, con la quale scriverà in seguito quattro libri per ragazzi e condividerà l’esperienza delle letture pubbliche delle loro poesie e un adattamento teatrale dei loro lavori. Ma esperienza fondamentale sarà la frequenza della scuola di poesia di Lo. (Robert Lowell), che dopo due anni di frequenza del suo corso le affiderà un corso di poesia parallelo al suo. Al corso di Lowell conoscerà Sylvia Plath, con la quale dopo le lezioni si tratteneva a discutere di poesia, dei rispettivi metodi di lavoro e di modi per suicidarsi davanti a un numero considerevole di drink. La ricerca della morte le accomunava, ma Sylvia Plath l’attuò molto presto, nel 1963.

Ciò che Di Caccamo descrive in modo coinvolgente è l’immersione repentina e entusiasta di Anne nel processo creativo della scrittura che diventa per lei una ragione di vita “Ho continuo bisogno di tornare alla scrittura e l’unica cosa che davvero voglio è cibo a sufficienza per restare in vita, andare a lezione con i poeti e scrivere. Il resto del mondo in fondo non mi interessa. La terapia è l’unica speranza per capire me stessa”. La terapia infatti l’aiuta nel processo creativo, perché i suoi sogni, le sue immagini mentali, l’elaborazione analitica diventano essi stessi materia di scrittura. Lei fragile, squilibrata, piena di paure, sente la scrittura come qualcosa che l’aiuta a definirsi e a potersi mostrare agli altri “O del mio disturbo faccio la mia vocazione o rischio di perdere la ragione, l’anima, tutto. Non ho altra scelta”.

La scrittura diventa per lei una terapia. In una delle numerose lettere all’amico e mentore Snod, il poeta W. D Snodgrss, scrive: “Io penso di essere viva soltanto da un anno, da quando ho incontrato la poesia”. Certamente la dedizione esclusiva alla poesia convive con difficoltà con la sua vita famigliare dove viene ora tollerata ora osteggiata dal marito. Doloroso e difficile il rapporto con le figlie, che ama profondamente, ma con le quali a volte non riesce nemmeno a restare sola in loro presenza e che non riesce ad accudire senza l’aiuto della suocera, di baby sitter, istitutrici, soffrendo di conseguenza di un forte senso di colpa. Il successo però le arride in modo rapido e folgorante, le sue poesie vengono pubblicate in riviste, antologie, pubblica diversi libri, riceve inviti, riconoscimenti fino all’assegnazione del Premio Pulitzer nel 1967 con la raccolta “Live or Die”. Come sappiamo anche dalla vita di altre autrici la scrittura è un processo complesso, salvifico da una parte e doloroso sotto altri aspetti, con le ansie relative alla produzione, alle reazioni degli altri e alle esibizioni pubbliche.

Anne vive comunque uno sdoppiamento, perché se l’invenzione di se stessa come poeta le consente di mostrarsi agli altri, altrimenti sente di non esistere, di essere impresentabile, se la poeta dunque trionfa, d’altra parte lei come persona si sente sempre allo stesso punto. La sua vita è un calvario di crolli nervosi, di tentativi di suicidio, di incontri con amanti, di ricoveri, terapie e micidiali cocktail di alcol e farmaci. Nel 1973 chiede il divorzio, le figlie ormai grandi si allontanano da lei per i loro impegni e anche per salvarsi da lei, si avvia così alla solitudine. Il 4 ottobre 1974 dopo aver pranzato con l’amica Maxine torna a casa, si spoglia, indossa una pelliccia della madre, scende in garage, si chiude in macchina con un bicchiere di vodka ghiacciata e la radio accesa e si uccide col monossido di carbonio. Si conclude la breve ma intensa parabola poetica di una donna che aveva saputo affrontare temi come la maternità, le mestruazioni, la masturbazione, gli scarti corporei e Dio. L’illuminante ritratto che ci consegna Irene Di Caccamo suscita il desiderio di approfondire la lettura della sua opera.


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