Santo Padre come sta? Alla domanda di un giornalista Bergoglio ha risposto: “sono ancora vivo”. Con il suo incredibile sorriso e senso dell’umorismo potrebbe aver risposto anche ai tanti che intorno alla Chiesa hanno cercato di tirargliela, di rappresentarlo come moribondo, pronto a dimettersi, o forse obbligato a dimettersi. C’è chi è arrivato ad parlare, nonostante la privacy valendo per le notizie vere dovrebbe valere anche per quelle false, di un papa afflitto da due tumori. E invece lui è “ancora vivo”. Ma soprattutto è vivo il suo messaggio alla Chiesa e al mondo, in particolare all’Europa visto che il suo viaggio era europeo. Cominciamo da quello alla Chiesa. Libertà, creatività, dialogo. E’ questa la lezione che Francesco ha lasciato ai vescovi e ordinati di Bratislava. Il papa è partito da una considerazione sulla Chiesa, su cosa sia: “La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza. Qui a Bratislava il castello già c’è ed è molto bello! Ma la Chiesa è la comunità che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo – non il castello! –, è il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della pace dentro la pasta del mondo. Per favore, non cediamo alla tentazione della magnificenza, della grandezza mondana!” Forse le due citazioni stanno insieme: chi ha sparso notizie false sulla sua salute forse pensa alla Chiesa castello. Ecco alla libertà: “ la libertà non è una conquista automatica, che rimane tale una volta per tutte. No! La libertà è sempre un cammino, a volte faticoso, da rinnovare continuamente, lottare per essa ogni giorno. Non basta essere liberi esteriormente o nelle strutture della società per esserlo davvero. La libertà chiama in prima persona a essere responsabili delle proprie scelte, a discernere, a portare avanti i processi della vita. E questo è faticoso, questo ci spaventa. Talvolta è più comodo non lasciarsi provocare dalle situazioni concrete e andare avanti a ripetere il passato, senza metterci il cuore, senza il rischio della scelta: meglio trascinare la vita facendo ciò che altri – magari la massa o l’opinione pubblica o le cose che ci vendono i media – decidono per noi. Questo non va. E oggi tante volte facciamo le cose che decidono i media per noi. E si perde la libertà. Ricordiamo la storia del popolo di Israele: soffriva sotto la tirannia del faraone, era schiavo; poi viene liberato dal Signore, ma per diventare veramente libero, non solo liberato dai nemici, deve attraversare il deserto, un cammino faticoso. E veniva da pensare: “Quasi quasi era meglio prima, almeno avevamo un po’ di cipolle da mangiare…”. Una grande tentazione: meglio un po’ di cipolle che la fatica e il rischio della libertà. Questa è una delle tentazioni. Ieri, parlando al gruppo ecumenico, ricordavo Dostoevskij con “Il grande inquisitore”. Cristo torna in terra di nascosto e l’inquisitore lo rimprovera per aver dato la libertà agli uomini. Un po’ di pane e qualcosina basta; un po’ di pane e qualcos’altro basta. Sempre questa tentazione, la tentazione delle cipolle. Meglio un po’ di cipolle e di pane che la fatica e il rischio della libertà. Lascio a voi di pensare a queste cose.”
La creatività è altrettanto importante e Bergoglio ha usato l’esempio dei Santi Cirillo e Metodio, che crearono un nuovo alfabeto, come è noto. Ecco, ha aggiunto, bisogna sempre inventare nuovi linguaggi per comunicare, per restare in contatto con i problemi reali. Infine il dialogo, quella costante bergogliana che lo aveva portato poco prima a invocare un’Europa con le porte aperte e a condannare i rigurgiti di antisemitismo.
Se questi sono pochi accenni su un viaggio alla radici dei malesseri della vecchia Europa dell’est, così intelligentemente colti nel citato passaggio sulla libertà, si può dire che il suo viaggio ha consentito di vedere tutta la distanza, incolmabile, che lo spera dal cattolicesimo illiberale di Viktor Orban. Il premier ungherese non solo ha detto di aver chiesto al papa di non lasciare che il cristianesimo ungherese perisca, come se in Ungheria ci vivesse il papa e non lui, ma ha fatto molto di più. Il suo ufficio stampa ha fatto sapere che “ Orban ha dato come regalo una copia della lettera che il re ungherese Béla IV nel 1250 aveva scritto a Papa Innocenzo IV, in cui chiedeva l’aiuto dell’Occidente contro i bellicosi tartari che minacciavano l’Ungheria cristiana”.
A pensarci un po’ è come se a un papa in partenza per un viaggio apostolico in Germania il sindaco di Roma, recandosi a salutarlo all’aeroporto prima della partenza, gli portasse un dipinto raffigurante il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi. Quel dono ha indicato la distanza tra il papa e Orban: un uomo che vive nel tempo, nella storia, e dall’altra un uomo che vive chiuso nel suo castello senza finestre, dove i fatti di un millennio fa sono i fatti di oggi. Forse la favola di Fedro sul lupo e l’agnello trova qui un nuovo riferimento. Quando il lupo che si abbevera in un ruscello dice all’agnello, che si trova a valle rispetto a lui, che gli sta inquinando l’acqua, e poi davanti alle obiezioni dell’agnello gli dice che forse era stato suo nonno, in Orban sembra proseguire e dire che se non era stato suo nonno era stato il primo agnello della storia, tanti millenni fa… Bello il mondo senza tempo?