“Siete come sabbie mobili tirate giù”. Franco Battiato
Leonardo Clausi (giornalista RAI, corrispondente da Londra per ilManifesto), e Serafino Murri (critico cinematografico, scrittore) sono autori del libro più ironicamente e tragicamente attuale sul tempo che stiamo attraversando: quello del Capitalismo pandemico. Pandemia Capitale (ilManifestolibro, 2021) indaga con dotta consapevolezza sui meccanismi economici, geopolitici ed etici della nostra epoca, la quale con il Covid19 ha scoperchiato, più che scoperto, voragini, contraddizioni, storture che possono soltanto essere sostituite. Perché “resilienza” (parola tanto abusata da perdere qualsiasi significato), “messa in sicurezza” (espressione svuotata di qualunque senso), o altre formule che tentano disperatamente di salvare il salvabile di un Sistema in crisi ben prima della Pandemia, non bastano più, non servono, non sono più neanche di moda.
In tutto questo caos, il ruolo del Virtuale acquista un potere – economico, etico, psichico – straordinario e, in gran parte, ancora sconosciuto.
E mentre l’Occidente si schianta contro il muro che sembrava di ferro dell’Impero Capitalista, da buoni “post apocalittici e disintegrati” (perché il sottotitolo del libro che indaga questa parte di Mondo nel suo pieno disfacimento post moderno, parafrasa esattamente il libro di Umberto Eco, Apocalittici e integrati, 1964), riponiamo quel po’ di fiducia che resta nel Pensiero e, forse, nei figli.
Leonardo Clausi: “Distinguere l’economia capitalista in virtuosa e dannosa è perfettamente inutile. Il Capitalismo non vuole avere virtù, non nasce per essere virtuoso, non ha alcuna necessità di essere virtuoso”.
“Le convenzioni borghesi che ci hanno riparato fino a oggi, con il covid sono completamente saltate. Siamo ‘l’un contro gli altri armati’ come da tempo non lo eravamo, in questo Occidente capitalista. E tutto ciò è sintomo di una fragilità, di una precarietà, di una turbolenza sociale elevatissime”.
Serafino Murri: “La redistribuzione del reddito è irrealizzabile, perché il Capitalismo si fonda sull’economia schiavile senza la quale non esisterebbe. Il giustizialismo buonista che reclama la “redistribuzione del reddito”(della quale, per altro, si discute da almeno 15 anni), non è soltanto un’utopia, ma è anche in piena contraddizione per quelli che sono i meccanismi intrinseci del Capitale, che si basa su un tipo di economia schiavile”.
“La battaglia tra chi è contro e a favore del vaccino è la manifestazione più evidente della totale messa in crisi del principio democratico, il quale in sé conserva il proprio sovvertimento”.
Il radicalismo e il cinismo che caratterizzano questo esempio vivido e feroce di pars destruens, contengono, in realtà, un ampio margine di vitale curiosità verso il futuro. Si auspica, quindi, un nuovo volume, come necessaria pars costruens di ragionamenti che, sin qui, buttano giù uno a uno i pezzi del “migliore dei mondi possibili”.
Che libro è Pandemia Capitale?
Serafino Murri: Prima di tutto è una Jam Session. E’ un libro, cioè, che nasce estemporaneamente, per essere un Istant Book e per essere completato, come è accaduto di fatto, nel maggio del 2020, ovvero in piena prima fase della Pandemia e vuole essere una riflessione sul ruolo che ha avuto questo virus nell’accelerare i processi di coscienza che, probabilmente, restavano un po’ annacquati all’interno della “iper medialità”. Abbiamo quindi adottato un metodo micrologico: lo stesso di Benjamin o di Pasolini (senza volerci, certo, misurare con loro), ma semplicemente siamo partiti dall’estemporaneo, dal fatto contingente, di livello anche giornalistico, per ricomporre un quadro generale e specifico di questo evento mondiale. Il covid, infatti, è stato una sorta di prisma che è riuscito, in maniera inattesa, a funzionare come rifrazione, scissione della “stella del Capitale”. Un prisma che ha cominciato a far intravedere tutte le direzioni che erano dentro questo moloch, del quale non si parla mai e che è, appunto, il Capitalismo. Quindi, il nostro libro è un’analisi dei “post apocalittici e disintegrati”. Siamo “post apocalittici” perché l’antropocene (ovvero, la nostra epoca geologica, caratterizzata da quel disfacimento fisico, chimico, biologico devastati dall’azione umana e che è, di fatto, il vero paziente zero di qualunque pandemia), vive l’apocalisse almeno da un ventennio, anche se è percepita in dosi omeopatiche. E siamo anche “disintegrati”, perché scissi dal nostro essere “integrati”, ma in modo virtuale. L’esodo forzato all’interno della Rete, cioè, è diventata a suo modo uno strumento di salvezza, una sorta di terra di promessa per sfuggire alla scoperta e all’ammissione consapevole del fatto che eravamo nel mezzo di una catastrofe epocale già annunciata e di cui il Covid non è altro (come ha scritto dottamente Leonardo Clausi nel libro), se non una sorta di “trailer” di ciò che stiamo vivendo.
Leonardo Clausi: Il libro è un’analisi critica della consapevolezza (che era già assai diffusa, ma ignorata) dei processi di lenta erosione, di disgregazione, di corruzione del sostrato naturale, economico e materiale su cui poggia la realtà: il nostro Pianeta sta cominciando a esprimere in maniera traumatica, e sempre più evidente, un malessere che sembra ormai incontrovertibile. La Terra è un corpo martoriato che trasmette impulsi di dolore al cervello. Ma l’apocalisse che stiamo vivendo è ignorata ed esorcizzata. Il Covid19, vogliamo dire nel libro, è stata una violenta spinta verso una presa di coscienza che, comunque, non è stata raccolta. Nel libro, c’è (in maniera micrologica. ma anche rapsodica), l’analisi critica delle ragioni che inducono al perdurare di questa ignoranza e inconsapevolezza e, di conseguenza, l’urgenza disperata di fare qualcosa. Tutto ciò che di evidentemente falso viviamo, viene subito ricondotto alla possibilità di una risposta di riscatto di tipo tecnologico. Viviamo su un fronte parallelo e confuso che muove dall’idea riformista di Giustizia-Ingiustizia. La scelta etica e morale dell’essere umano consapevole, cioè, si è spostato verso quello che Agamben chiama la “zoè” (Giorgio Agamben in Homo sacer, edito da Einaudi nel 1995, parla di “Nuda Vita”, contrapponendo il concetto di “Zoè”, ovvero la vita puramente biologica e fisiologica propria dell’uomo in senso stretto e “Bios”, ovvero la vita relazionale e sociale dell’essere umano). I gruppi sociali, nel tempo del Covid19, sono attraversati da dilemmi etici di altissimo livello e profondità, ma dei quali si dibatte al bar, al supermercato: viviamo una Bisanzio a un attimo dalla dissoluzione dell’Impero d’Oriente, quando cioè si parlava di transustanziazione, ma c’erano i Turchi a pochi metri, pronti a distruggere quell’Impero e i suoi principi. Molte manifestazioni della vita pubblica e sociale, nonostante l’evento traumatico del Covid19, perdurano nel portare avanti la narrativa dell’apocalisse, che però è la stessa narrativa del pre-Covid. Il libro, quindi, è una risposta, quasi stupefatta, dell’andare tutti contro lo stesso muro a una velocità supersonica, senza opporre alcuna resistenza.
Serafino Murri: Il nostro libro, quindi, non ha né un registro saggistico, né narrativo, ma sta a metà strada: il tipo di stile è il più possibile ironico, leggero, anche disincanto. Ma non è un disincanto cinico. Soltanto la parte finale è un po’ più teorica e densa, in senso stretto. E’ un libro diviso in 3 parti: le prime due parti attraversano la contingenza, la parte finale è uno sforzo maggiore: quello di fare i conti con Marx.
Leonardo Clausi: Certo, dire “fare i conti con Marx” è un’espressione forte. Per noi, si è trattato di capire verso quale dei mille rivoli che il pensiero post marxista si è andato a suddividere, dovevamo rivolgerci. E, a darci il destro per intravedere una via d’uscita, è stata quella parte di critica contemporanea tedesca di un gruppo di studiosi non accademici e non integrati ad alcuna consorteria di Potere (neanche politico), che di Marx riscopre la tradizione più incredibilmente utopistica, che ha aperto il discorso all’operaismo, all’idea del lavoro come redenzione, come attività da far rispettare, che dà valore superiore all’essere umano, come compimento dell’essere umano. Ecco, noi pensino che non sia vera tutta questa retorica sul lavoro. C’è una grande discrasia, anche a sinistra, tra l’idea palingenetica sociale del marxismo rivoluzionario (György Lukács e il popolo come “soggetto automatico”) e la realtà. Questa idea, porta a un atteggiamento equivoco nei confronti del Capitalismo. Vede la lotta di classe come l’unico perno sul quale si poggia la Storia ed, evidentemente, si accontenterebbe anche solo del fatto che anche la semplice redistribuzione della ricchezza (la qual cosa non avverrà), sarebbe desiderabile per risolvere tutte le storture dello stesso Capitalismo. Sono 15 anni che parliamo di “disuguaglianza”, quando in realtà non la si attuerà mai.
Serafino Murri: L’idea della redistribuzione della ricchezza è, evidentemente, una fandonia. La grande bugia di Bill Gates, per esempio, è fondata sull’affermare che 2,5 milioni di persone col Capitalismo hanno migliorato le loro condizioni di vita, ma in realtà nulla dice degli altri miliardi di esseri umani che, a causa del litio e del cobalto con i quali si fabbricano i computer, muoiono nei deserti del Sud America o del Congo, per raccogliere i minerali più velenosi e costruire PC. La redistribuzione della ricchezza, cioè, non è di fatto realizzabile perché senza il lavoro schiavile, non ci sarebbe Profitto. E il Profitto è l’unico Dio del Capitale, è lo Spirito, è il Valore (detto in termini marxiani), del Capitale.
Nel libro, c’è un esempio molto chiaro. Se il colosso GAFAM (Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft) decidesse davvero di redistribuire il reddito, così come più volte ripetuto nelle esplicite e commoventi esortazioni di Papa Francesco, metterebbe in pericolo la sua stessa esistenza. Perché, nel momento in cui i soggetti dell’economia schiavile migliorassero le loro condizioni, il profitto dei colossi GAFAM verrebbe a cadere e questo non è né previsto né prevedibile dal Capitalismo che il GAFAM stesso incarna. E la ragione è semplice: se la condizione di chi va quotidianamente nelle miniere di litio a uccidersi lentamente per 3 dollari al giorno migliorassero davvero, la sussistenza del soggetto Capitale verrebbe a mancare. La redistribuzione non è soltanto un’utopia, ma è in totale contraddizione per quelli che sono i meccanismi intrinseci del Capitale, i quali si basano sull’economia schiavile.
Leonardo Clausi: Alla luce dei fatti pandemici, è come se, dopo l’esaurimento della grande crescita all’indomani della seconda Guerra Mondiale, il Capitale sia arrivato in piena saturazione. La durezza liberista del duo Thatcher-Regan degli anni ‘80, ne è stata la prima manifestazione. Allargare e scoprire le facce infinite della Finanza, che allora erano esaltate e che ora hanno rivelato le loro falle, ha portato a un totale rigurgito, alla stessa negazione populista e di pura facciata di questo Sistema che è il Capitalismo. L’ostilità che ci contraddistingue, si manifesta in questa nostra Italia del Movimento5Stelle e di tanta Sinistra, in assoluto contrasto con le Lobby dei banchieri e della finanza, visti come i malvagi che rubano energia all’economia reale. Ma tutto questo è molto equivoco: distinguere l’economia capitalista in virtuosa e dannosa è perfettamente inutile. Il Capitalismo non vuole avere virtù, non nasce per essere virtuoso, non ha alcuna necessità di essere virtuoso. Il Capitalismo è privo di sentimenti, è incolore e insapore. Ha bisogno di esistere, riproducendosi. Esattamente come un virus. La crisi economica della finanza nel 2008, è stata la fine della grande crescita, che creava valore e profitti. Nel frattempo, si è aperto un nuovo, colossale Mercato. Nell’Occidente post industriale, la diffusione di oggetti e di merce ha raggiunto la saturazione. Così, le fonti di profitto e reddito si sono spostati sulla Rete. Per far fronte alla sempre minore richiesta di oggetti, in questa parte del Mondo, nel mondo virtuale, di ciascuno di noi, la Rete sa tutto di ciascuno di noi: cosa gli piace e cosa no, cosa ascolta, cosa mangia, cosa guarda , i luoghi che ha visitato. C’è un problema serissimo di Giustizia, in questa parte di Pianeta. Il “Vitello Dollaro”, come lo definiamo nel libro, ha spazzato via qualsiasi forma di Verità e Giustizia. Come ha spazzato via tutto il concetto di Ecosistema. In questo Pianeta non ci sarà mai Giustizia, perché il petrolio servirà sempre e l’economia schiavile non può esaurirsi. Nel percorso storico della Socialdemocrazia di voler far funzionare questo sistema di produzione, volerlo redimere, lavare, pulire e farlo funzionare a tutti i costi, non funziona più, ora. Abbiamo scelto di disinteressarci completamente alle onde telluriche che il Capitalismo ha in tutto il resto del Pianeta.
Il libro è colto, raffinato, fin troppo citazionistico, ma ha anche uno stile apparentemente leggero. Si ride molto, eppure intravedo un senso di morte, per quanto esorcizzata e derisa. Avete fatto un quadro talmente complesso di questa parte di Mondo, che la domanda più immediata non può che essere la seguente: che margini di fiducia intravedete nel futuro?
Serafino Murri: Personalmente, mi sento il perfetto spettatore di mutazioni antropologiche profonde. I cosi detti “nativi digitali”, ob torto collo stanno operando la scelta di cambiare completamente le loro modalità cognitive: stare perennemente connessi, scriversi tra loro per immagini e fotografie ed emoticons, far parte di questo grande processo che è il Data Minig, essere le colonne di un processo di sfruttamento delle identità digitali, ecco, tutto questo ha un altro risvolto. I ragazzi stanno cambiando davvero il modo di guardare al mondo, di concepirlo, di vedere il rischi ai quali è sottoposto. Se c’è un margine di fiducia sta proprio nel fatto che non possiamo continuare a utilizzare i nostri parametri di lettura della realtà a prescindere dai loro mutamenti e dal modo diverso di concepire questa nostra realtà da parte delle nuove generazioni, rispetto alle nostre. Noi siamo tendenzialmente ignoranti, arrogantemente liquidatori. Come se questi giovani fossero drogati da strumenti che noi giudichiamo idioti, come Tick Tock. In realtà, loro stanno imparando a usarli in modo difforme da tutta quella che noi guardavamo e conoscevamo come la così detta “Società dello spettacolo”. Se Donald Trump, da Presidente USA, ha capito che bisognava “bannare” Tick Tock è perché ha percepito la pericolosità dei processi di diffusione dei nuovi social media. Non voglio certo dire che digitalità sia il punto di redenzione. Ma stanno completamente mutando il modo di percepire e quindi vivere il rapporto di socialità, che un tempo per noi aveva valori molto diversi. I loro valori non siamo in grado di decifrarli. Sono ancora in germe, ma intravedo, sinceramente, una possibilità di fiducia in loro che faccia crollare i totem e i tabù delle nostre generazioni, vissute sotto l’egida del buco nero del Capitalismo.
Ma allora, se “non possiamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”, cosa abbiamo imparato da questo spazio di tempo vissuto in cattività pandemica?
Leonardo Clausi: Il cliché che nel libro abbiamo cercato di evitare, senza riuscirci, è stata l’orrenda espressione: “lo avevamo detto”. Appare un po’ presuntuosa, certo, ma non trovo una dimostrazione più eclatante della fondatezza di tutta una serie di contraddizioni che, in questo momento pandemico, sono illuminate da una luce fotoelettrica accecante.
Serafino Murri: Il trailer della fine del del mondo che è stato ed è la pandemia, ha inoculato all’interno delle nuove generazioni un’idea di totale illibertà di un mondo libero. E questa illibertà libera, ha fatto comprendere ai giovani che le promesse della Politica possono essere depennate come si depenna un twit scomodo. Questo trailer ha tirato giù il velo di quella che è l’apparenza dell’ufficialità. Nel momento in cui un’intera generazione non può credere più, ob torto collo, all’ apparenza dell’ufficialità, è costretta ad andare a indagare personalmente su cosa stia accadendo. Nel momento in cui c’è una crisi ontologica della realtà, perché la realtà stessa viene messa in discussione in quella che noi nel libro definiamo “epoca della post verità”, si crea un tale buco nero che, la necessità di individuare nuovi principi sui quali articolare la realtà diventerà primaria, come l’esercizio meccanico di respirare un’aria che non sia letale per i polmoni. Noi adulti che osserviamo tutto questo, dovremmo essere sufficientemente umili da dire: “Non capiamo”, perché non abbiamo gli strumenti di lettura. E questi strumenti sono nelle mani dei nostri giovani i quali, costretti a respirare un’aria irrespirabile, o si fanno venire le branchie e vanno sott’acqua, oppure devono invertire la rotta in maniera radicale.
Leonardo Clausi: In questa epoca, bisognerebbe guardare lucidamente l’evidenza: siamo alla vigilia di una serie di eventi talmente dirompenti e violenti che le parole chiave della nostra epoca sono “resilienza” e “messa in sicurezza”. Il grande plastico nel quale viviamo si sta sfasciando e cerchiamo disperatamente formule che lo curino, piuttosto che trovarne di nuove. C’è una ricerca ansiogena, da parte dei detentori della bilancia del sentimento popolare e del lessico pubblico, di trovare delle vie di fuga, ma non da sé, da un mondo esterno che non riusciamo più a contenere, controllare, vedere.
Serafino Murri: Non credo che la generazione attuale, della quale facciamo parte, abbia nessuna chiave definitiva reale. Ce l’hanno i nostri figli, inevitabilmente.
E’ evidente che trionfano, nei momenti di crisi, termini ed espressioni confusi e approssimativi. Parliamo della disputa ipocritamente democratica di chi è contro e di chi è a favore dei vaccini anticovid. Libertà personale e libertà sociale smettono di camminare parallelamente e pacificamente nel momento in cui una parte della nostra popolazione può decidere di non vaccinarsi, mettendo a rischio la propria salute e, inevitabilmente, quella collettiva. Il vostro libro si ferma alla fase pre vaccino. Alla luce delle vostre analisi, che momento stiamo vivendo, ora, nella odiosa lotta vaccinale?
Serafino Murri: I padri fondatori della Costituzione italiana hanno pensato alla democrazia, che è un dispositivo, come spiega Antonio Gramsci, basato sulla possibilità del proprio sovvertimento. Se tu riesci, con i tuoi strumenti, ad avere più voce in capitolo di me, avrai la possibilità di sovvertire il mio ordine e stabilire un altro tipo di ordine. La democrazia contempla il proprio sovvertimento. Ma viviamo in un’epoca particolare, quella che Umberto Eco aveva riassunto alla perfezione: la nostra democrazia, nata su altissimi principi etici, filosofici, giuridici, si è risolta nel dare “diritto di parola agli imbecilli”. Chiunque, senza nessuna qualifica (basti guardare i currricula dei nostri ministri), può ricoprire cariche istituzionali, basta che convinca il maggior numero di persone possibile. Le radici più profonde dello stato di coercizione in cui viviamo non toccano la mera scelta dell’essere pro o contro il vaccino. Questa battaglia insopportabile è una delle infinite variazioni sul tema della deviazione dell’oggetto fondamentale in gioco, che è la democrazia in senso lato.
Leonardo Clausi: Questa guerra no vax è la manifestazione del Liberalismo in rotta di collisione con l’idea di Giustizia. Il punto di riferimento di tradizione etica, giuridica e filosofica della nostra Costituzione, Giustizia e Libertà, pone l’individuo in contrasto immediato con il principio di libertà. L’espressione “Giustizia e Libertà”, lo stiamo vivendo, è un ossimoro. La rottura del nostro funzionamento come democrazia è messo in primo piano da questa disputa è effetto di una sorta di “americanizzazione” del nostro pensiero storico-giuridico. Gli USA sono costituiti da cittadini, i quali sono, tutti e ciascuno, un’ “impresa a scopo di lucro”. Ma ora, rispetto a colossi come il GAFAM (del quale Serafino ha già accennato qui), le “corporations” statunitensi, incarnate nei cittadini e diffuse a dismisura, non contano più nulla. Questo è il passaggio dal Moderno al Post Moderno. In Occidente non si parla altro che di “informazione mediatica”, “industria culturale”: il post moderno è tutto basato sull’incognito, sull’immateriale, sull’incorporeo, il “cognitariato” è la nuova leva della nostra società (che in Italia corrisponde alla grossa fetta di popolazione che ha aderito, supportato, votato il Movimento5stelle). Il sogno neo liberale, la promessa non mantenuta della democrazia diretta e della prosperità, sono miti ingoiati e crollati nel crollo dell’europeismo.
Il sistema è entrato in crisi perché gli individui sono messi in competizione non dalla competizione economica o politica: le persone, in questo momento, sono le une contro le altre e tutti tra tutti, ma in modo subdolo. E qui entra in ballo un discorso più generale, perché sta accadendo un fenomeno nuovo: la “privatizzazione della politica”, che è il passo più prossimo della democrazia occidentale. In questo processo, il Covid19 rappresenta un acceleratore del percorso. Ma l’ultima istituzione che resta in piedi, ora, è lo Stato, forte del suo essere in “stato di emergenza”. Essendo la privatizzazione della politica in un momento nascente, a prescindere dal covid e prima del covid, stiamo vivendo una fase di privatizzazione di qualsiasi cosa. Le imprese si stavano già, ante covid, sostituendo agli organismi tradizionali.
Viviamo un momento di cordoglio profondo: morti rimosse, malattia, disfacimento dei sistemi di tutela delle classi subalterne, disuguaglianza, guerra contro finanza e lobby di potere economico… Eppure l’Italia viene messa in toto nelle mani di un banchiere, per gestire al meglio i soldi del Recovery Fund, si banalizza. Le persone, secondo voi, si sono accorte davvero di queste contraddizioni e confusioni di ruoli e cariche?
Leonardo Clausi: Sì, sono certo che, nella società, si sia rotto qualcosa, nel profondo.
Serafino Murri: Fino a prima della pandemia, le persone erano convinte che questo fosse il migliore dei mondi possibili. In questo momento, le persone si rendono conto che non c’è più nulla, ma davvero nulla dietro cui difendersi. Il mantra della “messa in sicurezza” è diventato tale perché non esiste più nessuna forma di sicurezza.
Leonardo Clausi: Le convenzioni borghesi che ci hanno riparato fino a oggi (il politicamente corretto, le buone maniere, etc.), con il covid sono completamente saltate. Siamo “l’un contro gli altri armati” come non si vedeva da molto tempo, in questo nostro Occidente capitalista. Questo è il sintomo di una fragilità, di precarietà, di turbolenza sociale.
Il vostro “grido triste e vitale” è arrivato ai lettori?
Serafino Murri: Lo speriamo. Abbiamo tentato di fare una cosa che non si fa più: tracciare un quadro complessivo delle cose e di riannodare i fili di una realtà che è stata completamente spappolata nella “separazione” e resa apparentemente innocua. Il libro non è arrivato a delle conclusioni, se non alla seguente: quando una cosa non regge più, bisogna ripensarla. L’Occidente non è più il posto tranquillo (sia pure nelle sue contraddizioni sociali, politiche, economiche, che sopportavamo), nel quale poter vivere al meglio delle nostre possibilità, in pace. In questo momento viviamo un ordine di insicurezza diverso dalla Guerra Fredda o dall’Olocausto nucleare: viviamo l’insicurezza assoluta dell’immediato dopoguerra del 1945.
Leonardo Clausi: Il grande sgomento dei nostri intellettuali organici della così detta Sinistra Liberale è che la via liberale è stata per la prima volta messa in discussione; il declino del periodo geopolitico condizionato dalla NATO e dall’assetto delle cose stabilito da Stati Uniti e Gran Bretagna è violentemente in crisi; la Gran Bretagna molla l’Europa senza capire bene come schierarsi: c’è una totale disgregazione degli equilibri geo politici fine Seconda Guerra mondiale e questo è messo in evidenza dall’affermarsi dei totalitarismi, come quello teocratico in Medio Oriente, o quello anarco-mafioso della Russia. Queste vie illiberali e alternative al Capitalismo stanno avanzando. Tutto questo è pericolosissimo. Eppure, è giunto il momento in cui questo nostro “Occidentecetrismo” crolli.
Serafino Murri: Finisce un’idea di Potere. Se non altro, lo dice il fatto che, in questi giorni, si parla moltissimo delle possibili dimissioni di Biden e di Papa Francesco. Il Potere incarnato, che esiste nella Russia di Putin o nella Cina di Xi Jimping, in Occidente non lo vuole nessuno. L’Occidente sta uscendo dalla Post Modernità, laddove il Potere non può più essere potente, perché nessuno lo vuole. Questa è un’altra cosa nuova: le figure istituzionali non contano più nulla.
Leonardo Clausi: Il privato, attraverso internet, è la più grande riserva immateriale di ricchezza, ed è da questa evidenza che la hubris, l’arroganza dell’Occidente crollano.
Serafino Murri: Vorremmo poter scrivere un secondo volume di Pandemia Capitale. Semmai riusciremo a farlo, partiremo dal concetto di Libertà.