Morti sul lavoro, una ecatombe senza fine

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Ci preoccupiamo della pandemia in corso come è giusto che sia. Imponiamo controlli serrati, vigilanza e quanto altro sia utile alla sconfitta della stessa. Non vediamo però un’altra epidemia in corso da anni: gli infortuni e le morti sul lavoro. Ogni volta che si infortuna o muore qualche lavoratore si grida allo scandalo, all’incuria, alla irresponsabilità, alla scarsa o mancata prevenzione, ma il giorno dopo tutto torna come prima, se non addirittura peggio. È assurdo che alle soglie del terzo millennio si debba morire per un misero pezzo di pane o una misera paga, magari elargiti in nero. Non è concepibile che non si attivino controlli più stringenti e una prevenzione che sia realmente tale. Sindacati e associazioni promuovono manifestazioni e scioperi, purtroppo, gli infortuni e le morti su lavoro aumentano ogni giorno che passa. La prevenzione rimane lettera morta, i controlli e le verifiche sono totalmente insufficienti. Ad oggi contiamo circa settecento morti per il lavoro dall’inizio dell’anno. Sei morti nelle ultime ventiquattrore! Le vittime sono ovunque dal Nord al Sud, in Lombardia, Piemonte,  Veneto, Sicilia e Toscana. Nel milanese due operai quarantenni che lavoravano per una ditta esterna sono morti mentre rifornivano l’ospedale Humanitas di azoto: una fuga di gas li avrebbe intossicati. In provincia di Torino un uomo di 72 anni, titolare di un’officina è morto dopo essere scivolato da una scala. A Loreggia, in provincia di Padova, un operaio di 50 anni che lavorava per una ditta del luogo è deceduto cadendo da un’impalcatura di cinque metri. A Capaci, in provincia di Palermo un camionista di 52 anni è rimasto schiacciato dal tir mentre stava effettuando delle verifiche fuori dal mezzo. Tutte vittime unite dalla stessa sorte: morti per negligenze del datore di lavoro e per mancanza di sicurezza. In provincia di Pisa è morto decapitato da una trebbiatrice un uomo di 54 anni. Siamo sempre di fronte a persone sfruttate e costrette a lavori faticosi e pericolosi. Oltre ai mancati requisiti di sicurezza, pesa anche il tipo di contratto: l’86% delle aziende ispezionate l’anno scorso è stata trovata con lavoratori irregolari o in nero. Eppure la nostra Carta Costituzionale sancisce: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Quali diritti per la tutela della salute e della vita del lavoratore? Come sono garantiti tali diritti? Se il sistema della prevenzione e dei controlli non funzionano a poco servono i principi costituzionali in materia di tutela del lavoro e del lavoratore. E’ intollerabile per un Paese civile come dovrebbe essere il nostro che si assista imperturbabili all’orribile fenomeno di cadaveri di uomini morti sul posto di lavoro e abbandonati dalle aziende (soprattutto edili), sul ciglio di una strada per non dover rispondere alla Giustizia e alla propria coscienza.

Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.


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